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La vita è la bellezza dell’amore di Dio

Il prof. Giuseppe Noia, da 30 anni a difesa della vita nascente, racconta il suo impegno e l’incontro con Madre Teresa

La vita è la bellezza dell’amore di Dio

Abbiamo incontrato il prof. Giuseppe Noia - ginecologo presso l’Ospedale Gemelli di Roma e docente di Medicina dell’Età Prenatale presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - in occasione della presentazione del suo libro “Una goccia d’amore cambia il mondo: Madre Teresa e l’Università Cattolica” che si è tenuta lo scorso 5 aprile, presso la Parrocchia S. Paolo Apostolo di Rende.

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Da cosa scaturisce il suo impegno per la tutela della vita nascente?

Dall’aver scoperto la bellezza dell’amore di Dio. Mi sono sentito molto amato e il bene di per sé è diffusivo. Quando ricevi il bene, per tua natura vuoi darlo. Mi sono chiesto cosa avrei potuto fare da medico e mi sono risposto: lavorare per il bene della vita, della difesa della coppia e della famiglia. Tutto questo è avvenuto quasi in maniera naturale, dopo un incontro speciale con un sacerdote di campagna, una specie di Curato d’Ars dei nostri tempi. Era il 1974 ed ero al quinto anno di medicina. Don Giuseppe – così si chiamava - mi ha educato alla filosofia delle ginocchia e alla grandezza delle piccole cose.

Che cosa è per lei la fondazione “Il Cuore in una Goccia ONLUS”?

La fondazione è l’attuazione pratica di un servizio sociale, oltre che testimoniale, scientifico ed etico, dei miei trent’anni di attività a difesa della vita nascente, in Italia e nel mondo. Mi sono reso conto che ci sono tante sacche di non conoscenza. Sviluppando la conoscenza, non solo attraverso i dati scientifici, ma anche con la testimonianza delle famiglie che vengono aiutate, si possono aiutare tante altre persone a far vedere come il più povero tra i poveri - come lo definisce Madre Teresa - cioè il bambino non ancora nato, è la pietra angolare. 

Sappiamo che, da luglio 2017, è attivo a Cosenza uno sportello di accoglienza per le maternità difficili. Può raccontarci com’è nato e a chi si rivolge?

È un trait d’union tra il territorio e i vari hospice perinatali che sono in Italia: al Gemelli a Roma, a San Giovanni Rotondo, a Loreto e a Verona. Tra l’hospice e il territorio ci sono questi centri - come quello di Cosenza - che accolgono le famiglie che rifiutano l’idea dell’interruzione di gravidanza, ma che rimangono nella confusione e nella solitudine e hanno bisogno di essere indirizzate e aiutate. Lo sportello è un luogo di aiuto che porta le coppie alla consapevolezza.

Quale messaggio vuole rivolgere alle donne che si trovano dinanzi a una diagnosi prenatale infausta?

Il messaggio di non arrendersi, come hanno fatto più di mille famiglie e più di ottomila donne che non si sono arrese dinanzi alla prima valutazione ecografica. Un grande ecografista diceva che l’ecografia è il modo migliore per terrorizzare una donna gravida. Non voleva dire che non dobbiamo avere fiducia nella scienza, ma che occorre avere l’acume del discernimento etico per capire come utilizzarla. Se la scienza è a favore dell’uomo, della sua vita e crescita, allora tutto è guadagnato. Se si usa invece la scienza per eliminare l’uomo, non va bene. La conoscenza deve andare sempre avanti, ma deve essere utilizzata con discernimento etico. 

Quali i progetti futuri della fondazione nella e per la nostra Calabria?

Sono progetti che stimolano specializzandi, ostetriche e giovani studenti a entrare nella cultura dell’hospice perinatale che non è solo una cultura di tipo medico, ma, soprattutto, un aspetto relazionale. La famiglia nell’hospice viene circondata da varie figure professionali: neonatologo, ostetrica, psicoterapeuta, genetista e ginecologo per la parte scientifica. Per la parte relazionale, invece, vi sono altre famiglie c.d. testimoni che, avendo sperimentato quel buio ed essendone uscite accogliendo i bambini, a loro volta aiutano. Ci sono poi le famiglie c.d. cireneo che non hanno vissuto in prima persona l’esperienza della diagnosi infausta, ma sentono nel loro cuore di voler condividere questo tracciato di sofferenza. Per fare solo un esempio: negli ultimi tre mesi, sette famiglie hanno fatto le loro testimonianze che sono state pubblicate sia in un volume, che, in modo più succinto, sul sito www.ilcuoreinunagoccia.com. Le famiglie che hanno accolto i loro bambini portano anche le loro testimonianze sul territorio. Di recente, sette famiglie, nel corso di altrettanti eventi, hanno detto come accogliere un figlio con disabilità o con gravi problemi, abbracciando una croce che, da pesante, diventa poi leggerissima e apre non alla disperazione, ma alla pace. L’hospice prenatale rende culturalmente importanti la diffusione e l’impegno delle famiglie con la presenza e il mutuo aiuto. 

Di recente, abbiamo anche istituito delle borse di studio per giovani laureandi e laureati, con tesi sull’accompagnamento alla nascita e sull’hospice perinatale. Stiamo per istituire due borse di studio per inviare due giovani a New York dove potranno vedere le cure riservate ai bambini con gravi incompatibilità con la vita al momento della nascita. Poi c’è tutto un filone di ricerca che riguarda i bambini Down. L’uso di terapie date alla madre in gravidanza, infatti, può diminuire il danno neuro-cognitivo dei piccoli. È una terapia che stiamo attuando già da tre anni al Gemelli, anche se la casistica è poca, in considerazione del fatto che sono poche le donne che accompagnano i bambini Down alla nascita.

“Il bambino non nato è il più povero tra i poveri”, così diceva Madre Teresa. Quanto ha influenzato i suoi studi e le sue attività l’incontro con la Santa di Calcutta?

Don Giuseppe, il prete di campagna di cui ho detto prima, mi ha messo nelle condizioni di capire come parla Dio. Non avrei capito il linguaggio di Madre Teresa se prima non avessi fatto questo incontro decisivo. Mi sarei fermato solo all’emozione di conoscerla. È stato don Giuseppe che mi ha fatto capire che bisogna essere attuativi e pragmatici. 

Quando Madre Teresa disse: “A voi medici di questo policlinico dico: se c’è una donna che non vuole il proprio bambino, datelo a me”, io ero già preparato a fare una cosa pratica. Così, ho aiutato le ragazze madri e le donne che, per vari motivi, non volevano accogliere i propri figli, perché, per esempio, c’era stata un’amplificazione della diagnosi di malformazione o perché non sapevano che il bambino con problemi poteva essere curato prima della nascita. 

C’è tutto quell’aborto c.d. da ignoranza che va combattuto. Noi sappiamo che Madre Teresa non ha avuto peli sulla lingua dicendo che quando si commette un aborto si compie un doppio omicidio: si uccide il bambino e la propria coscienza. Io mi sono permesso di aggiungere che abortendo si fa una sfida frontale al progetto di Dio che è sempre amore. Noi non sappiamo perché questi bambini sono così deboli e fragili e, quindi, li giudichiamo con il preconcetto dell’efficienza. Negli ultimi anni, abbiamo aiutato venti famiglie ad accompagnare alla vita i bambini anencefalici che sono lo scarto dello scarto ed è successo che le famiglie, dopo la cessazione del battito, hanno deciso di donare le cornee. 

Dopo l’ultimo bancaggio, un fatto straordinario: quelle cornee sono state trapiantate su due adulti appena arrivati al Gemelli che avevano riportato un danno grave alla vista e necessitavano di trapianto. Le cornee di quei due bambini hanno salvato la vista di due adulti. Tutte le vite sono utili, perché sono frutto dell’amore di una coppia. 

Dobbiamo avere grande rispetto per i percorsi delle donne che decidono di portare a termine queste gravidanze, perché spesso vengono ghettizzate, discriminate e considerate irresponsabili e crudeli, che è una cosa assurda.

Cosa sente di dire alle donne che hanno abortito e si sono poi pentite?

Tante donne sono venute da me dopo aver abortito. Certamente bisogna rifarsi all’esempio di San Giovanni Paolo II che diceva di combattere l’aborto, ma di avere grande amore per le donne che sono cadute in questa disgrazia di abortire il proprio figlio. Bisogna aiutarle e dire che come per noi Dio ha usato misericordia, anche per loro c’è misericordia. L’errore va combattuto e va ostacolato in ogni modo, ma bisogna avere grande comprensione per chi ha sbagliato. Come Gesù, però, bisogna anche dire: “Va’ e non peccare più”.

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