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Custodire e purificare la pietà popolare e la vita dei credenti da ogni forma di mafiosità

La ‘ndrangheta è l’antivangelo. La seconda edizione ripercorre l’impegno della chiesa calabrese

Custodire e purificare  la pietà popolare e la vita dei credenti da ogni forma di mafiosità
la 'ndrangheta è l'antivangelo

Tanto c’è ancora da fare per la nostra terra “bella e amara” in ogni ambito sociale, ecclesiale, politico, familiare ed educativo. Tanto spetta allo Stato, tanto spetta ai cittadini, tanto altro ancora spetta alle forze dell’ordine e alle realtà sociali ed educative. Ognuno deve fare la sua parte. Anche alla Chiesa, ai credenti, è chiesto di contribuire alla liberazione della Calabria da ogni forma di “antivangelo” che pervade la cultura, la società, le forme religiose e la vita dei cittadini. Incoraggiati dalle parole di papa Francesco che con chiarezza pronunciò il forte anatema a Cassano, con alle spalle grandi testimonianze e anche grandi sofferenze, ma con gli occhi puntati su Gesù Cristo e la sua Parola, i Vescovi calabresi hanno avviato nuovi percorsi formativi, hanno chiesto a parroci e agli educatori di impiantare “nuovi argini” contro il dilagante fenomeno che tenta di stritolare la Calabria, le famiglie e le strutture sociali, propagandosi come un vero e proprio virus malefico. Un percorso e una presa di coscienza, un impegno graduale avviato sin dal 1916, come testimonia questo lavoro di ricerca curato con don Pippo Curatola e don Giovanni Scarpino e commissionato dalla stessa CEC per i tipi della TAU Editrice. Si tratta di un volume, che esce oggi in seconda edizione, che si apre con la Lettera Pastorale dei Vescovi per la Quaresima del 1916 dove, in embrione, ma con chiarezza, si pongono le basi per quella necessaria purificazione della pietà popolare; un primo passo per il rinnovamento di quelli che, riconosciuti come “atti di fede”, tante volte rischiavano già allora di cadere nello scandalo o nel ridicolo, quasi alla stregua di spettacoli circensi. Già allora si individuavano abusi e debolezze nell’azione di evangelizzazione e si chiedeva di ricentrare l’azione pastorale su Cristo, sull’annuncio della Parola, sulla celebrazione dei Sacramenti. Fra i punti deboli venivano indicati: le processioni, il ruolo dei padrini, la scarsa formazione del clero del tempo e dei fedeli. Debolezze che i Vescovi individueranno anche nei documenti successivi dalle quali, gradualmente, ma sempre con più chiarezza, hanno preso pubblicamente le distanze, soprattutto da ciò che era connotato come fenomeno di tipo mafioso e criminale, tentativi di infiltrazione. Accanto ai richiami e agli inviti alla conversione, la condanna senza appello della Mafia definita piaga della società (1975) e l’antivangelo (2014) emerge con chiarezza la considerazione che la ’ndrangheta nulla ha a che fare con la Chiesa di Cristo (2015). L’azione dei Vescovi, la presa di posizione pubblica della Conferenza Episcopale Calabra, ma anche di singoli presuli nelle diocesi più colpite dal fenomeno, ha aperto indubbiamente nuove strade soprattutto in questi ultimi decenni, perché insieme alla denuncia e all’esame del fenomeno, è emerso l’impegno nell’arginare la criminalità battendo le vie educative e soprattutto quelle della testimonianza cristiana personale e comunitaria. Si è passati dalla oggettiva condanna del fenomeno alle risposte ecclesiali, ad una nuova prassi pastorale, ad un impegno capillare e silenzioso nelle parrocchie e nel territorio. La Chiesa calabrese non è rimasta silente di fronte al fenomeno mafioso, ma un progressivo percorso di riflessione ha offerto anche il suo contributo che ha tenuto conto di riflessioni comunionali, chiare prese di distanza, concrete scelte emerse anche nell’ambito dei Convegni delle Chiese calabresi: Paola 1979, Paola 1991, Paola 1997, Squillace 2001, Le Castella 2009. In ciascuna di queste esperienze “sinodali” è venuta fuori la certezza che una vera liberazione della Calabria dal sottosviluppo e dalle forze occulte “passa dalla coscienza di essere popolo protagonista della sua storia”. Le risposte individuate dalle diocesi e anche da coraggiosi singoli, da piccoli gruppi che andavano maturando nel territorio, l’accompagnamento al lavoro dei giovani e nuove forme di creatività sociale sono stati tasselli per offrire risposte. Le comunità cristiane sono state individuate come “portatrici delle specifiche istanze di sviluppo e rimozione degli ostacoli che impediscono l’effettiva promozione del lavoro e del sistema economico locale… per prevenire e contrastare la criminalità organizzata attraverso concreti processi”. Nell’ultimo convegno regionale ad Isola Capo Rizzuto i delegati votarono le proposizioni finali solo dopo aver ascoltato diverse testimonianze di uomini e donne che avevano lavorato, lottato e pagato sulla loro pelle il fenomeno mafioso-ndranghetista e così scelto “di individuare percorsi di riscatto per la terra calabrese e per una santità possibile e concreta” da vivere in questa terra. Ai convegni ecclesiali hanno fatto seguito anche la Settimana sociale delle Chiese in Calabria a Bivona (Vibo Valentia nel marzo 2006) ed il convegno regionale organizzato dalle Caritas calabresi a Falerna (26-27 gennaio 2007) che portò al prezioso documento per una pastorale ecclesiale per l’educazione delle coscienze in contesti di ‘ndrangheta finalizzato ad individuare delle piste per il superamento di quella cultura mafiosa che fa da terreno fertile all’opera delle organizzazioni criminali. Di particolare interesse fu anche la riflessione scaturita dal convegno dei presbiteri calabresi che si è svolto a Tropea nel 1999. Il magistero sociale dell’episcopato calabro trovò nella Settimana sociale delle Chiese in Calabria (2006) e nei Convegni Ecclesiali Regionali il culmine di una riflessione avviata da decenni, partecipata, condivisa; essi sono stati come la fucina per riaccendere la speranza senza mai occultare eventuali responsabilità e ritardi dovuti anche alla Chiesa stessa. È interessante vedere come la storia di quest’impegno portò ad un vero e proprio “magistero sociale” dei Vescovi calabresi: dal 1° Concilio Plenario Calabro del 1934, nel quale i Vescovi insieme si espressero per una svolta, alla lettera del 19 giugno 1945 dove si individuò “nel deficit di spiritualità” la causa di tante problematiche valoriali calabresi e nella Croce di Cristo il riferimento per “radici comuni” di fede e di cultura, anticipando un dibattito europeo che si svolse settanta anni dopo a proposito di radici comuni. Va ricordato come i presuli calabresi aderirono con “convinzione e partecipazione” al progetto di una Lettera collettiva dei Vescovi meridionali sui problemi del Mezzogiorno (1948), nella quale monsignor Lanza ebbe il ruolo di protagonista e di estensore, così come accadde anche in occasione del III Congresso Eucaristico regionale di Cosenza, nel 25 gennaio 1948, al quale si pervenne dopo una lunga e feconda riflessione da cui scaturì la Lettera ai fedeli: Eucarestia e ricostruzione morale della società per la quaresima 1947. Così scrivevano: “Causa prima dello smarrimento e del pervertimento dell’uomo, e della sua quasi totale decadenza spirituale e rovina materiale, è stato il distacco da Dio. Dio assente significa per l’uomo oscurato, traviamento, morto, miseria”. Nei documenti emerge dunque, con costanza, che il decadimento morale è strettamente connesso con quello spirituale, e che l’impegno religioso della Chiesa in Calabria deve essere quello di ridare un’anima al popolo di Dio. Il problema urgente è l’evangelizzazione; solo così non ci si farà rubare la speranza. Su questo percorso si innestano anche i documenti prodotti, gli interventi dei singoli Vescovi che rappresentano il cammino delle Chiese locali. Dietro ogni pagina c’è la storia di una Chiesa e anche questi documenti andrebbero raccolti e studiati. I due ultimi documenti, la Nota Pastorale del 2014 e il Direttorio del 2015, sono il culmine di questo cammino ma non il punto d’arrivo. Per certi versi forse sono il punto di partenza per un rinnovato impegno di testimonianza “concreta e credibile” in questa terra e per il terzo millennio cristiano. La convinzione (supportata da autorevoli e costanti interventi dei pastori e attualmente da papa Francesco) è che ogni forma di mafia – ’ndrangheta compresa – produca una cultura di fatto atea, antitetica con il Vangelo, perché mette un uomo o una organizzazione al posto di Dio. Il percorso formativo voluto dai Vescovi calabresi per i futuri presbiteri, per i laici impegnati, è giunto al suo quarto anno e continua, come esperienza di formazione, laboratorio di ascolto, spazio di riflessione, luogo di prevenzione per ostacolare sul nascere la semina della zizzania o riconoscere la malapianta.

Custodire e purificare la pietà popolare e la vita dei credenti da ogni forma di mafiosità
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