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Accogliere significa curare e amare

Un incontro organizzato da AFN Onlus per discutere dei diversi modelli di integrazione

Accogliere significa curare e amare

Accoglienza, adozione, affido, adozione a distanza. Questi i principali temi trattati all’interno del convegno “Dall’accoglienza all’integrazione: percorso possibile?”, svoltosi domenica scorsa nei saloni del seminario Diocesano a Rende. Filo conduttore dell’incontro - organizzato da Afn (Azione per Famiglie Nuove Onlus) insieme ad altri enti che si occupano di minori: Azione per un Mondo Unito, Missione Famiglia, Formazione Comunione - la centralità della persona che deve essere accompagnata e custodita nel miglior modo possibile, così come sottolineato dal presidente del FOCU Alessandro Brullo.  A ribadire l’importanza di ridare dignità alle persone instaurando un processo di reciprocità con chi ha necessità di uscire da una condizione di povertà anche attraverso piccoli strumenti di microcredito, è stato Stefano Comazzi, presidente dell’AMU, che ha parlato dei progetti portati avanti dall’Ong in diverse parti del mondo. Del sostegno da dare ai minori non accompagnati ha parlato una delle responsabili del MIFA che lavora a stretto contatto con la realtà di accoglienza per Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) di Rogliano “Casa Ismaele”, definita “un ponte di accoglienza”.

Intervento centrale quello del dottor Ezio Aceti che ha puntato l’indice su quelli che sono i bisogni e i diritti  dell’uomo all’interno di situazioni di accoglienza. “Tra i diritti comuni che abbiamo c’è quello di nascere, crescere e avere un sostegno; a questi corrispondono tre bisogni fondamentali: appartenere, avere stima di sé stessi e identificarsi in un modello, senza i quali le persone si sentono ferite, mendicano amore”. A questo sono state poi aggiunte quelle che sono le principali ferite degli esseri umani: “la prima è l’abbandono che vivono, ad esempio, i bambini lasciati soli; poi ci sono le violenze subite e, infine, l’incapacità genitoriale a cui sono legate la maggior parte delle difficoltà a cui si va incontro lavorando all’educazione dei bambini”. Ferite che hanno come conseguenza “l’ansia che provoca crisi e genera insicurezza che può però essere positiva perché ti consente di entrare nel vivo delle problematiche”. A questo, il celebre psicologo dell’età educativa, ha legato la risposta che un educatore o genitore deve dare alle persone di cui si prende cura o ai propri figli. “Esiste un meccanismo in ciascuno di noi che ci spinge a buttare fuori l’ansia e a cercare di prendere quello che ci fa stare bene. Tutto questo nelle situazioni di adozione o di fragilità succede con più frequenza perché il minore riverserà sui genitori adottivi quest’ansia che porta dentro”. Quindi un meccanismo di compenetrazione che porta all’accoglienza attraverso un processo dinamico che deve mandare in crisi chi accoglie. “Accoglienza che significherà prendere su di sé l’ansia del prossimo che sia esso un bambino adottato, dato in affido o un immigrato. Quindi il passo successivo sarà quello di accompagnare mettendo da parte i pregiudizi, sottolineare gli aspetti positivi e collaborare ad accrescere l’autostima”. Per concludere la certezza che la ricetta funzionerà solo grazie a quelli che il dottor Aceti chiama i cinque cromosomi di Dio così elencati: “È l’altro che mi fa esistere; siamo essere relazionali; siamo programmati per l’amore; la verità dona gioia e le fragilità sono risorse che aspettano di essere illuminate”. Quindi guardare al prossimo con “quell’amore di misericordia che vuol dire amare le persone per quelle che sono, non per quello che fanno”.

A chiudere l’incontro la testimonianza della giovane Vesna, adottata all’età di 12 anni e ora laurenada in scienze dell’educazione, e di Fares di 18 anni, ospite nella struttura di Rogliano “Casa Ismaele”. 

Lo psicologo Ezio Aceti: serve un progetto di alfabetizzazione genitoriale

A margine del convegno abbiamo avuto la possibiltià di rivolgere alcune domande al l’esperto psicologo infantile Ezio Aceti.

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Si parla tantissimo della famiglia ma poco dell’essere genitori. Cosa significa esserlo oggi? 

Un vero genitore ama i propri figli. Ma cosa vuol dire amare? Tutte le mamme sulla faccia della terra vogliono bene ai propri bambini, ma tanti vengono su con problemi. Quindi non basta solo amare: è necessario conoscere. Come sarebbe bello se in tutte le parrocchie cominciassimo a fare l’alfabetizzazione genitoriale con 2-3 incontri all’anno dove si parla del bambino, del ragazzo. Sono convinto che risolveremmo il 70% dei problemi. Come diversi anni fa fu fatta una campagna di alfabetizzazione per insegnare a quanti non poterono andare a scuola a leggere a scrivere, oggi abbiamo il problema che dal punto di vista genitoriale siamo analfabeti. Sarebbe bello che in televisione mandassero in onda dei programmi dove i più grandi pedagogisti ed educatori spiegano come tirar su un bambino. Un modo per aiutare dal basso aiuteremo a far crescere tutta la genitorialità. Quindi non criticare le mamme e i papà che sbagliano, ma insegnare loro come fare e farlo grazia all’iauto di chi i bambini li conosce e li ama.

Questa sarebbe la ricetta ottimale. Al momento però la situazione è diversa. Quali sono le le fragilità che si riscontrano a più ampio raggio?

Le fragilità più grandi sono legate al fatto che il genitore ha la sua idea del bambino e ripete le stesse cose che ha ricevuto dai genitori. Questo è un modello sbagliato. Un genitore deve imparare l’arte di vedere il positivo nei propri figli, tollerare gli sbagli ritenendoli non come intenzionali ma come frutto di un percorso di crescita.

Quando invece parliamo di famiglie adottive o di ragazzi accolti nelle case famiglia o nei centri Sprar cosa cambia?

Nelle famiglie dove si è ha più stretto contatto con la sofferenza quanto abbiamo detto sopra diventa esponenziale.Adottare un bambino è bellissimo e faticosissimo perchè io non adotto solo lui, ma anche la sua ferita e se la famiglia non lo sa, quando magari tratterà male i suoi genitori adottivi, loro penseranno di essere inadeguati ma non è vero. Devono uscire dalla loro incapacità momentane dettata dall’ansia e ridare al bambino il sé positivo. Solo così sarà il bambino ferito ad educare me con il risultato che io diventerò maturo.

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