Editoriali
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Non c’è pace per Gerusalemme

Ancora guerra, ancora missili e bombe, suoni di sirene, morti. Sempre più precisa, ma violenta la guerra tra israeliani e palestinesi, tra lo Stato e Hamas

Non c’è pace per Gerusalemme

Ancora guerra, ancora missili e bombe, suoni di sirene, morti. Sempre più precisa, ma violenta la guerra tra israeliani e palestinesi, tra lo Stato e Hamas. Non c’è pace per la Terra Santa le cui notti sono illuminate da terribili razzi e i giorni dalle grida e dalle lacrime di chi raccoglie i corpi. Gli inviti alla pace, al dialogo e al cessate il fuoco sono al ritmo dei tg. Uno ogni ora, uno per ciascuna autorità mondiale. I più sensibili si affidano anche alla preghiera, il papa richiama alla Pace. L’Onu, con debolezza, invita le parti a fermarsi e i rappresentanti dei due schieramenti armati si accusano come bambini: è stato prima lui. Prove vere o presunte, false o costruite, continuano a essere mostrate per giustificare le piogge di missili che per quanto “intelligenti” mietono vittime anche fra i civili. Scenari come questi si sono già ripetuti per ricordare gli ultimi nel 2008, nel 2012 e nel 2014 e si sono portati dietro una scia di sangue e un numero consistente di morti. L’Onu non è mai riuscita a fermare queste guerre. A 73 anni appena compiuti dalla nascita dello Stato d’Israele (14 maggio) c’è ancora poco da celebrare. Anzi, con la legge voluta nel 2018 da Netanyahu, con la quale è stata definita la natura dello Stato etnico-religioso, nel quale l’autodeterminazione “è esclusivamente per il popolo ebraico” e sono stati riconosciuti gli insediamenti dei coloni nei territori occupati come “valore nazionale”, è stato collocato un altro grosso macigno che blocca il vero processo di pace.  Ogni scusa è buona per lanciarsi missili e bombe. Purtroppo, è stata “costituzionalizzata” una situazione di discriminazione e di umiliazione del popolo palestinese perseguita con accanimento e con un ventaglio di misure di carattere militare, amministrativo e legislativo. Negli ultimi tempi questa situazione di oppressione è stata resa ancora più dura. In un ampio rapporto recentemente pubblicato dal titolo “Una soglia varcata. Autorità israeliane e crimini di apartheid e persecuzione” viene descritto dettagliatamente il trattamento umiliante e discriminatorio riservato da Israele ai palestinesi nella Cisgiordania occupata, nella Striscia di Gaza bloccata e nell’annessa Gerusalemme est, oltre che agli arabi-israeliani. Gli israeliani rivogliono le loro case abbandonate a causa della guerra e questo scatena gli odi. Le sentenze dei giudici danno ragione e la rabbia continua a crescere. Un vero processo di pace dovrebbe portare a mettere un punto, così come dopo tutte le grandi tragedie e guerre. Ma c’è qualcuno che voglia davvero questo? Sia nel paese dilaniato sia fra le autorità sovranazionali. Appare chiaro che l’unica soluzione di questo conflitto assurdo si possa risolvere solo con l’accordo: dei due popoli in due Stati. Ma fino a oggi si è trattato solo di una formula vuota, che in molti hanno cercato nel tempo di concretizzare, ma senza risultato. L’insormontabile ostacolo sembra quello di Gerusalemme, la Città avvertita come “propria” da tutti i fedeli delle religioni monoteiste. Se non si riparte da Gerusalemme come Città aperta, non se ne esce.

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