Editoriali
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Facebook, carcere e felicità

Il caso della ragazza rumena condannata per omicidio preterintenzionale, le foto sul più famoso dei social e la loro rilevanza. Un fatto che investe il diritto e la società

Parole chiave: foto (3), facebook (8)
Facebook, carcere e felicità

Non credo che in tanti saranno d’accordo con quanto mi appresto a scrivere, ma ritengo sia giusto puntualizzare alcune cose sulla vicenda della ragazza romena che, condannata a sedici anni di carcere per l’omicidio preterintenzionale (quindi non doloso, ma determinato da un soggetto violento che ha causato un evento oltre le proprie intenzioni) di una coetanea, dopo nove anni di carcere si è vista sospendere dal magistrato di sorveglianza la semilibertà ottenuta da pochi mesi circa. La causa della sospensione è da rinvenirsi in alcune foto pubblicate su Facebook che la vedevano al mare e sorridente. Quelle foto, certamente evitabili da un punto di vista di opportunità, sembrerebbero essere state ritenute penalmente rilevanti e comunque idonee alla sospensione della pena alternativa. Quest’ultima le era stata concessa per la buona condotta e prevedeva, insieme ad alcuni permessi premio, la possibilità di recarsi al lavoro con rientro entro le ventitré in carcere. L’opinione pubblica ha subito gridato allo scandalo dinanzi a quelle foto: ma come, dopo solo nove anni di galera, quella sfacciata torna in semilibertà ed ha il coraggio di mostrarsi sorridente pure sui social? Ecco i frutti del lassismo giudiziario italiano! Dinanzi al caso mediatico sollevato, il magistrato ha preferito sospendere il beneficio e tra un mese il Tribunale ci dirà se ha fatto bene o male. Il Ministro della Giustizia Orlando ha spiegato che Doina Matei, questo il nome della ragazza che all’epoca dei fatti aveva vent’anni, doveva attenersi all’ “utilizzo limitato e predeterminato del telefono cellulare, che era stato autorizzato esclusivamente per comunicare con l’istituto di pena, con l’UEPE, con il datore di lavoro e con singole persone previamente individuate. L’accesso al social network, in considerazione della natura e della diffusività dello stesso, consente alla condannata di intrattenere rapporti con un numero indefinito di soggetti, ulteriori e diversi da quelli preventivamente individuati ed autorizzati nel provvedimento di concessione del beneficio, realizzando in tal modo la violazione delle prescrizioni imposte”. Il problema però sembra un altro. Innazitutto, va detto che la semilibertà non è un colpo di spugna, ma un modo diverso di scontare la pena. Perché la pena non è per essenza reclusione. La violazione di Doina è stata nell’abuso del cellulare, nell’avere aperto un profilo Facebook o nell’essersi fatta ritrarre sorridente? Perché la faccenda prende una tinta diversa rispetto alla risposta giacché ad essa è legata la revoca della pena alternativa. Nei primi due casi si evince il mancato rispetto di condizioni di condotta che la norma della semilibertà non prevede essendo legge del 1975, quando i telefoni non scattavano foto né davano modo di condividerle in un mondo virtuale ancora da inventare. Aggiornare la legge predetta dell’ordinamento penitenziario sarebbe auspicabile, così come spiegare da un punto di vita politico, ancor prima che giudiziario, se la ragione della semilibertà è anche quella del reinserimento e la risocializzazione del detenuto, il social network va o meno considerato uno strumento di socializzazione? Se si, può essere utilizzato e come? Se la sospensione della pena alternativa per Doina è, invece, da cercare nello stile della detenuta fotografata, la faccenda è ancora più particolare, giacché le foto sono salite agli onori delle cronache dopo la luce accesa dai media e la conseguente furia dei parenti della ragazza uccisa. Nel caso specifico ritengo che anche Doina abbia il diritto di essere felice e, nella sua condizione di semi-libera, a meno che l'ordinanza del magistrato di sorveglianza non preveda altro, ad avere un profilo Facebook come tutti i giovani della sua età. E' comprensibile la reazione della famiglia della vittima che quotidianamente vive con il dolore per la perdita della figlia. Ma l'odio, la vendetta, la distruzione fisica o la morte civile del colpevole non li faranno stare meglio. La giustizia però non deve perdere la sua razionalità. Invece troppo spesso sembra essere finita nelle mani degli umori popolari e della rete che dà voce ai peggiori di essi.

Fonte: Sir
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