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È ora di fermarsi a pensare ai giovani!

A pochi giorni dal convegno diocesano sulla pastorale giovanile sinodale (21-22 settembre 2019), don Michele Falabretti, responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale giovanile della CEI e relatore del nostro convegno diocesano dal titolo "Ascoltare, annunciare, accompagnare", ha scritto per noi questo commento.

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L'editoriale

Il tempo dell’attuazione del Sinodo è molto più silenzioso rispetto a ciò che è accaduto prima, ma non per questo meno importante. Per questo l’apertura dell’anno pastorale che riprende l’annuncio del Vangelo ai giovani è un passaggio significativo.

La questione giovanile, sempre più, arriva a interrogare l’intera comunità cristiana. Fino a pochissimo tempo fa, gli adulti si interrogavano a proposito della fatica di trasmettere la fede ai più giovani. Oggi appare chiaro che la testimonianza da rendere al Vangelo non è una faccenda che ha una sola direzione (dagli adulti ai giovani), ma sta investendo un po’ tutti. Il mondo giovanile, semmai, non fa che evidenziare il famoso “cambiamento d’epoca” con il quale sembra che si cominci a fare i conti seriamente soltanto ora.

Una prima esigenza importante uscita dal Sinodo è quella di alzare le competenze educative. Mille sforzi scomposti e improvvisati non ne valgono uno pensato e preparato. Alzare le competenze significa cercare quella sapienza che si costruisce nel fare quotidiano: quella che nasce dalla pazienza dell’ascolto e si esprime nella disponibilità all'accompagnamento. Se i giovani non si sentono accolti e capiti, non si apriranno a nessuna forma di ascolto e coinvolgimento.

Un secondo passaggio necessario è quello di comprendere e accogliere i nuovi modelli antropologici che i giovani ci offrono. L’annuncio del Vangelo è nel cuore della Chiesa. Ma esso non va impiantato dall'esterno come se Dio entrasse come uno scassinatore in ciò che gli appartiene da sempre. La Chiesa deve riconoscere che il Vangelo è all'opera nelle donne e negli uomini di questo tempo come in tutta la creazione. Questo significa che i nuovi modelli antropologici che i giovani portano in sé, non sono una cosa negativa solo per il fatto che siano diversi da quelli che li hanno preceduti.

Infine un grande lavoro va chiesto nella ricerca di una più efficace vita di comunità. Il tema non è quanto del passato (ormai deboli e scarne tracce) possa essere recuperato e salvato. Ma come far sì che la comunità dei credenti rimanga aperta alla vita del mondo. Il Vangelo è un fatto di legami e questo chiede che ci sia una comunità di uomini e di donne che liberamente e per amore danno alla loro vita la forma del Vangelo.

Se vogliamo sperare che il fatto cristiano possa interessare ai giovani, glielo dobbiamo mostrare prima ancora di volerglielo spiegare. Cercando di convertire quell'atteggiamento che tende ingenuamente a credere di poter educare i giovani separandoli dagli altri e creando contesti inutili alla loro vita quotidiana.

don Michele Falabretti

Responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale giovanile - CEI

L'editoriale
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