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L’annuncio deve impastarsi nella vita

Convegno diocesano.

Intervista esclusiva a don Michele Falabretti

L’annuncio deve  impastarsi nella vita

A margine della seguitissima relazione tenuta durante il convegno diocesano, abbiamo avuto la possibilità di fare alcune domande al responsabile nazionale della Pastorale Giovanile don Michele Falabretti per fare il punto su alcune delle questioni emerse durante il suo discorso.

Partiamo dal titolo dato al convegno. Come si traducono in pastorale i tre verbi ascoltare, annunciare e accompagnare?

Credo che il segreto vero sta nel fatto che ogni comunità dovrebbe tornare a capire come declinare questi tre verbi. Progetto pastorale, progetto educativo, sono due dimensioni che vanno intrecciate. Non possono essere scritte a tavolino da qualcuno, ma devono nascere e crescere nella comunità. Quindi questi tre verbi vanno declinati partendo proprio dal dato di realtà che risente dalla geografia e della storia di quella comunità. 

L’annuncio, poi, è sempre quello ma se uno non prende sul serio la vita di quel contesto, rischia di essere inefficace. Cioè di essere sì proclamato, ma di viaggiare sulle teste delle persone senza una reale presa. Per ultimo, il verbo accompagnare tiene insieme gli altri due perché significa capire con l’intelligenza dov’è l’altro. Non dire e poi lasciare andare, ma camminare a fianco.

Quindi puntare sulla fraternità. Cosa significa per i giovani?

Abbiamo bisogno di un mondo fraterno; e la categoria della fraternità può risultare davvero decisiva. Comunità è comunità di fratelli che non accetta la regola della città-mercato dove l’uomo è spinto a comprare perché sarà contento; dove osservando la tecnologia pensa di trovare tutte le risposte.  La felicità non risiede in una soluzione di mercato o in risposte facili. È la fraternità che dà senso vero alle nostre vite.

Allora perché alcune volte sembra quasi siano necessarie delle “strategie” per avvicinare i giovani alla Chiesa quasi non bastasse l’annuncio del Vangelo?

Non esiste una dimensione umana sulla quale non arriva l’annuncio cristiano proprio perché la dimensione umana l’ha inventata Dio. Alcune volte immaginiamo Dio come un ladro che entra di notte per appropriarsi di alcune cose della nostra vita. Ma quando Dio entra in relazione con l’uomo, entra in relazione con qualcosa che gli appartiene da sempre. Quindi non si tratta di una conquista. Allora se non è così per Dio, non lo deve essere nemmeno per la Chiesa a cui non servono “strategie”. Occorre pensare ad energie e risorse che già ci sono, vanno prese, tirate fuori, valorizzate. Gesù non è venuto per dire: “questo è giusto, questo è sbagliato” ma ha messo in guardia… In maniera pedagogica Gesù ha fatto vedere quanto dell’umanità fosse vera.

Durante il suo intervento ha ripreso più volte il ruolo fondamentale che devono avere gli adulti rispetto ai giovani. Papa Francesco ha parlato anche del rapporto che deve esserci tra anziani e giovani per aiutare gli adulti. È un impegno serio? 

Si, lo è. Papa Francesco sottolinea come i giovani e gli anziani rischiano di essere gli scarti. Però ricorda anche che quando prendi gli scarti e li metti insieme può scoppiare una rivoluzione nel mondo. Un po’ mi stupii quando la prima volta a Cracovia il papa disse ai giovani di andare a interrogare i propri nonni. Perché non disse: andate a parlarne con i vostri genitori? Quindi la crisi dove sta? È vero che gli adulti stanno vivendo tutta una serie di difficoltà, ma è anche vero che vengono fuori da una ubriacatura dalla quale è necessario svegliarsi. Non è voler parlare male degli adulti, ma in troppi adesso sembrano scollegati dalla realtà, e tutto questo si ripercuote sui giovani.

Sembra scontato dirlo, ma i giovani sono il futuro del mondo. Come la Chiesa si occupa di loro e quindi investe sul futuro?

Dobbiamo ammettere che anche la Chiesa fa fatica a stare dietro ai giovani, e almeno fino al Sinodo li ha cercati forse perché ci si sentiva in qualche modo invecchiati. Oggi ci si rende conto che investire sui giovani significa anche trovare una possibilità per ringiovanire tutta la comunità. Non perché non abbiamo voglia di perdere “clienti”, ma perché la Chiesa ha voglia di riallacciare i fili con i giovani.  E questo lo diciamo perché anche la chiesa sta facendo fatica. Nonostante ciò ci stiamo dentro ma bisogna capire che non bisogna parlare dei giovani come se fossero dei panda, una specie in estinzione. Con questo non voglio passare per il sindacalista dei giovani, perché molto spesso anche loro hanno bisogno di essere stimolati in maniera forte.

A proposito di stimoli, chiudiamo parlando proprio di uno dei momenti forti che la Chiesa ha immaginato per i giovani: le GmG. Come secondo lei dovrebbero essere ripensate per tornare efficaci così come le voleva Papa Giovanni Paolo II? 

Fin dalla loro nascita le GmG hanno avuto sempre in mente lo stesso schema, gli stessi orari. È giusto durante le GMG chiudersi per fare le catechesi, quando magari si potrebbe sfruttare meglio queste occasioni per più esperienze di scambio? Insomma ci sono alcune cose che andrebbero ripensate. Giovanni Paolo II è stato un grande papa, ma ha vissuto il suo tempo. Sono sicuro che se lui ci fosse sarebbe il primo a volerle ripensare. Perché la GMG o è un servizio e uno strumento, oppure, se deve essere qualcosa da restaurare, ritengo sia già fallita in partenza. 

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