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Una mostra sull’esperienza nei lager di Guareschi, creatore di Don Camillo

Lo scrittore emiliano era spinto da una profonda fede cattolica e sostenne l’idea di un cristianesimo democratico e popolare

Una mostra sull’esperienza nei lager di Guareschi, creatore di Don Camillo

Fino al 13 ottobre, presso la sede dell’ANRP in via Labicana a Roma, è possibile visitare l’affascinante mostra dedicata a Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi, scrittore, giornalista, umorista e caricaturista italiano, meglio noto come creatore di Don Camillo e Peppone, la serie più che ventennale iniziata nel 1948 con la pubblicazione del primo romanzo, a cui seguirono altre 346 puntate e 5 fortunatissimi film ambientati a Brescello. La rassegna intitolata “6865 - L’IMI Giovannino Guareschi”, pensata in occasione dell’ottantesimo anniversario della firma dell’armistizio dell’8 settembre, vuole portare l’attenzione della gente sulla dura vicenda storica, che contrassegnò l’esistenza degli Internati Militari Italiani (IMI) nei lager nazisti. Lo scrittore emiliano, originario di Fontanelle di Roccabianca, fu il testimone più illustre tra i 650 mila soldati che caddero preda della furia nazista. Il Sottotenente Guareschi venne catturato ad Alessandria il 9 settembre 1943, fu internato a Czestokowa e Beniaminovo in Polonia e poi a Wietzendorf e Bremervoerde-Sandostel in Germania. Rinchiuso in questi campi di concentramento compì una battaglia senza armi, insieme agli altri prigionieri, per circa venti mesi, senza mai abbracciare la politica di Hitler. I reclusi furono costretti, a causa del mancato riconoscimento dello stato giuridico di prigionieri di guerra, a lavori massacranti e umilianti per soddisfare le richieste dell’immondo Terzo Reich. Benché segnati da atroci sofferenze, in questi luoghi dell’orrore “fondamentali ai fini della sopravvivenza furono la speranza sempre viva, la religiosità, la fede, la cultura, oltre che la vita collettiva” ha spiegato Enzo Orlanducci, presidente emerito dell’Anrp, l’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall’internamento, dalla guerra di liberazione e loro familiari, un ente il cui scopo è tenere viva la memoria su questa triste pagina di storia. In mezzo a soprusi, atti vandalici, morti, privazione di dignità, mancanza di cibo, in luoghi come i lager sorti con l’intento di annientare il senso stesso della vita, la resistenza si giocò sul tentativo di preservare un minimo di rapporti sinceri, che rendono l’uomo un essere vivente. Guareschi strinse amicizia con il musicista e compositore Arturo Coppola, con l’attore Gianrico Tedeschi, con il disegnatore Giuseppe Novello, con il poeta Roberto Rebora, con il filosofo Enzo Paci e con tanti altri. Come riporta Claudio Sommaruga ne “Il dovere della Memoria”, Guareschi, riferendosi alla quotidianità nei lager, sostenne che “Non abbiamo vissuto come bruti: costruimmo da noi, con niente, la ‘Città Democratica’. Una ‘Città’ costruita da tutti, da tutti difesa, perché l’internato operò ‘una scelta continua’ nel Lager, durata venti mesi, stressante ed unica nella storiografia delle prigionie di massa”. Il padre di Don Cammillo e gli altri internati, rifiutandosi di spalleggiare la causa nazifascista, furono marcati con un numero, riportato su una piastrina, che dovevano sempre portare con sé. L’umorismo fu la carta vincente con cui Guareschi cercò di tenere alta la sua dignità e quelli dei suoi compagni, mai scendendo a patti con il nemico, ma coltivando sempre l’idea della fratellanza e dell’unione. Spinto da una profonda religiosità, si fece simbolo di un “cristianesimo di radice estremamente popolare che in prigionia si esprime tra gli altri nella “Favola di Natale” – come ha ricordato Marco Ferrazzoli, giornalista e curatore dell’evento romano. Quest’ultimo altro non è che un racconto musicato di un sogno di libertà nel suo Natale da prigioniero. Dopo la guerra lo scrittore, tornato in Italia, fondò la rivista indipendente “Il Candido”, giovandosi della collaborazione di Giovanni Mosca e di Giacinto “Giaci” Mondaini. Convinto monarchico, denunciò i brogli durante il referendum istituzionale del 1946, quindi smascherò, ricorrendo alla satira, gli omicidi politici compiuti dai partigiani nel “Triangolo della morte”. Guareschi diede il suo contributo alla causa cattolica e a quella democristiana nelle elezioni del 1948, sostenendo la battaglia contro il Fronte Popolare. Nonostante alcune frizioni con il mondo clericale, l’emiliano ricevette il plauso dei pontefici e lo stesso Papa Francesco lo ricorda come “modello di rapporto pastorale tra sacerdoti e fedeli”. La poco conosciuta esperienza nei lager da parte di Guareschi riecheggia, tuttavia, nel suo Diario Clandestino 1943-1945, dato alle stampe nel 1949 e dedicato ai “compagni che non tornarono”, un’esperienza di cui questa mostra intende offrire un ricordo affinché resti impressa nella memoria collettiva. L'esposizione è costituita da testi, immagini, materiali vari e video che illustrano questo periodo buio nella vita dello scrittore.

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