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Le Palme, con Cristo sulla via della pace e della riconciliazione

Dopo duemila anni sentiamo anche noi come le donne, il centurione, che nella Croce c'è l'atto d'amore di Dio per noi. E' la domanda che viene dalla croce, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani, ma salvezza per il cristiano...

Le Palme, con Cristo sulla via della pace e della riconciliazione

Il racconto della passione di Gesù è il tesoro più grande che la Chiesa possieda: è di una tale ricchezza che non finiremo mai di studiare, meditare, contemplare , per vivere e gustare il nostro incontro con Dio.

Ci commuove ogni anno e in questo particolare momento storico ancora di più, nella Domenica delle Palme, salire assieme a Gesù, accompagnarlo lungo la via verso il Golgota. In questo giorno, ovunque sulla terra e lungo i secoli, giovani e gente di ogni età Lo acclamano gridando: "Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!". Ratzinger scrive che Gesù, mentre fa ingresso a Gerusalemme nel suo incedere acclamato per le vie principali della città, rivendica una posizione regale tipica di quelle dell'Antico Testamento, che si evince anche dalla cavalcatura scelta: Gesù entra a Gerusalemme cavalcando un asino. Matteo non cita questo mezzo di trasporto, ma Giovanni nel suo Vangelo ne parla per sottolineare l'umiltà estrema con la quale egli fa ingresso nella città festante.

Al contrario di tutti gli altri uomini illustri che adoperavano il cavallo per il loro ingresso trionfale, egli percorre la via di Gerusalemme cavalcando "un asino figlio di asina", come era stato previsto dal profeta Zaccaria (Zc 9, 9). Nella scelta di questa cavalcatura si evince la figura di un Messia dimesso, che predilige la bassezza e l'annientamento ai plausi e alla vanagloria delle ovazioni della folla. La gente comunque lo esalta e man mano che passa, come ad un imperatore o ad un generale che rientra trionfante dopo aver sconfitto un esercito nemico, gli lancia palme e stende di volta in volta i tappeti al suo incedere verso il centro cittadino. La folla riconosce in Gesù il Signore, il re della gloria nonché il Salvatore che apporta la speranza e la salvezza, che risolleverà le sorti del popolo di Israele e di tutta l'umanità.

Il Vangelo di Matteo insiste soprattutto sui particolari dell'angoscia di Gesù e del suo pasto triste consumato con i suoi discepoli, nel quale spezzando il pane divide interamente se stesso ai suoi, si fa dono di vita e assicura la sua presenza perenne nel tempo, nel sacrificio del memoriale della sua passione: l'Eucarestia. Ad essa fa seguito il sonno dei discepoli e una duplice espressione nella preghiera sofferta di Gesù che non può passare inosservata: in un primo momento infatti egli, rivolto al Padre, dice: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». Poi, constatato come i suoi soccombano al sonno, sempre in orazione esclama: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà».

Nella liturgia di oggi due elementi materiali, le monete e l'acqua che diventano simboli molto forti di tutta la vicenda e anche provocazioni per il cammino di fede.

Giuda con i trenta denari pensa di compiere forse un'opera buona consegnando ai responsabili religiosi del popolo Gesù, il suo amico e maestro. Il suo rimorso finale insieme al fatto che getta via le monete, rinunciando alla ricompensa, ci fa intravedere la complessità dell'animo di questo discepolo traditore, una complessità che davvero assomiglia alla nostra di oggi di fronte alle questioni di fede e di fronte alle vicende del mondo: Diciamo di sentire Dio importante nella nostra vita ma poi siamo dubbiosi e pronti a cambiare maestri di vita  quando gli insegnamenti della fede risultano troppo duri e troppo in contrasto con le nostre abitudini. Come Giuda tradiamo la nostra fede nella vita di tutti i giorni anche dopo essere stati in chiesa o dopo che abbiamo ribadito di essere di "tradizione cattolica", quando per il denaro e il benessere ci dimentichiamo di accogliere il povero, di perdonare le offese, di sostenere chi ha meno di noi. Secondo elemento, l'acqua: Lavandosi le mani Pilato in realtà se le sporca ancora di più. Aveva tutti i presupposti e il potere per far sì che non si compisse un'ingiustizia ma non l'ha fatto. E non basta lavarsene le mani!

Anche noi spesso ci laviamo le mani quando qualcosa attorno a noi va male, e pensiamo e diciamo "non mi importa, non mi riguarda!"Ma se siamo in questo mondo così connesso non solo dalle reti tecnologiche ma soprattutto da quelle umane, non possiamo pensare di "tirarci fuori" e di "lavarci le mani" se ci sono ingiustizie, cattiverie, e guerre. Dio non ha avuto paura di sporcarsi le mani quando è sceso con Gesù in mezzo agli uomini, per prendersi cura dei più lontani, disperati...

Il racconto della morte di Gesù in croce è la lettura/epilogo più bella di tutto l'anno: La croce è l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. Per sa­pere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce e vedere  un uomo nudo in­chiodato e morente. Un uomo con le braccia spa­lancate in un abbraccio che non si rinnegherà in eterno. Vedo un uomo che non chiede niente per sé, non grida da lì in cima: ricordatemi, difendetemi... Fino all'ultimo dimentica se stesso e si preoccupa di chi gli muore a fianco: "og­gi, con me, sarai nel para­diso".  La croce è l'innesto del cielo dentro la terra, il punto dove un amore e­terno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa. Sul Calvario l'amore scrive il suo rac­conto con l'alfabeto delle ferite, l'unico indelebile.

Da qui la commozione, poi lo stupore, e anche l'innamoramento. Dopo duemila anni sentiamo anche noi come le donne, il centurione, che nella Croce c'è l'atto d'amore di Dio per noi.

La croce rimane una do­manda sempre aperta, di fronte ad essa so di non capire: «Tu che hai salvato gli al­tri, salva te stesso, se sei il Cristo». Lo dicono tutti, capi, soldati, il ladro: «se sei Dio, fa' un miracolo, conquistaci, imponiti, scendi dalla croce, allora crederemo». Qualsiasi uo­mo, qualsiasi re, potendo­lo, scenderebbe dalla cro­ce. Lui, no. Solo un Dio non scende dalla croce, solo il nostro Dio. Allora è solo la croce che toglie ogni dub­bio, non c'è inganno sul le­gno, nei chiodi. Ogni nostro grido, ogni dolore dell'uomo, la soffe­renza incomprensibile possono sembrare una sconfitta. Ma se noi ci ag­grappiamo alla Croce, al­lora veniamo anche presi dentro la forza del suo ri­sorgere, che ha il potere di far tremare la pie­tra di ogni nostro sepolcro e di farvi entrare il respiro del mattino.

Davvero Dio è qui! Davvero l'angoscia e la tristezza, il tradimento e la paura, la spada e i bastoni, l'invidia e la gelosia, la menzogna e l'oppressione, la morte stessa... non sono sufficienti per allontanare Dio dall'uomo! Davvero ogni situazione tragica e ogni evento incomprensibile della storia non è nient'altro che un velo posto sul volto del Signore, e diviene l'opportunità per scostarlo e guardare oltre: A noi, dunque, nel silenzio della Settimana Santa che comincia, l'opportunità di lasciarci lacerare il velo che offusca la nostra vista e di imparare a riconoscere Lui presente e vicino in ogni situazione della nostra esistenza. A noi ancora l'occasione per utilizzare il tono di voce di Dio, imparando la lingua dell'amore.

Un'ultima grande domanda risuona nella Passio della domenica delle Palme e risuona in questi giorni di angoscia e paura per la situazione storica che stiamo vivendo: "Dio mio, perché mi hai abbandonato?", la più grande e drammatica domanda che la nostra fede possa rivolgere a Dio: e per fortuna e per Grazia, domenica prossima, il primo giorno dopo il sabato, avremo la sua risposta.

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