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Non ve n’è traccia su Treccani, dizionari e viene corretta anche dal T9 del cellulare

La parola “agricoltrice” non esiste

Un viaggio linguistico dal sud al nord Italia per scoprire quanto viene usato questo termine

La parola “agricoltrice” non esiste

Agricoltrice: sul Treccani non esiste. Accademia della crusca? Niente. Persino il T9 del cellulare me lo corregge.
Lo stesso discorso vale anche per la parola ingegnera, assessora, architetta, agronoma, potremmo continuare l’elenco a lungo… Sono tutti sostantivi femminili di professioni o cariche che fino a pochi decenni fa erano riservate solo agli uomini. Sebbene, fortunatamente, la presenza femminile in questi ambiti si stia consolidando, l’evoluzione linguistica non ha seguito di pari passo questo cambiamento. Di conseguenza, essendo l’ideale di queste professioni consolidato con il genere (e quindi il sostantivo) maschile, l’esigenza di traslare questi nomi al femminile porta ancora dubbi e incertezze sul termine corretto da utilizzare.
Eppure la professione dell’agricoltrice esiste da millenni. Anche se il termine più adatto per definire il lavoro delle nostre nonne, e ancora prima, sarebbe “contadina”. Contadina esiste, imprenditrice agricola anche, agricoltrice no. Cosa ci siamo persi in questo passaggio?
E quindi mi chiedo… Mi faccio forse dei problemi inutili? Sarebbe importante che la parola “agricoltrice” esistesse? Ci serve questa parola?
Ed in campo? Viene usato questo termine? Come vengono chiamate in campagna le “agricoltrici”? E come si chiamano tra loro?
Ne ho parlato con Ilaria, un’imprenditrice agricola calabrese. Ho chiesto ad Ilaria se secondo lei questa parola me la sono inventata io… se esiste, se lei si definisce così, se la usa.
Ilaria si definisce “un’agricola”, non imprenditrice agricola né agricoltrice. Quando deve indicare qualche sua collega agricoltrice dice “lei conduce un’azienda agricola”. Non ha mai usato il termine agricoltrice, non l’ha mai sentito usare. Si fa chiamare semplicemente Ilaria nella sua azienda e con i suoi collaboratori, fuori dall’azienda in ambito lavorativo la chiamano “signora” oppure dottoressa.
“Viviamo in un Italia ancora maschilista, il settore agricolo è per antonomasia maschile nonostante la donna nella civiltà contadina rivestiva un ruolo forse ancora più importante. In Calabria poi di certo non è semplice essere prese sul serio in questo lavoro. E quando la gente capisce che il tuo lavoro lo sai fare bene, e lo fai con valore, usano un attributo maschile per complimentarsi. Non possiamo avere attributi nostri… Solo quando davvero dimostri di avere un valore, allora si attenua il maschilismo. Devi lottare per farti rispettare.”
A volte Ilaria ricorre all’aiuto di suo fratello, anche se quest’ultimo non si occupa di agricoltura: “Mando lui a concludere gli affari per non perdere tempo ed energie. Tra uomini si sentono più a loro agio. In gioventù per principio non l’avrei mai fatto, mi sarei infuriata, ma ora con la saggezza dell’esperienza penso che l’importante sia raggiungere un risultato”.
Nel frattempo Ilaria ha sviluppato nuovi metodi di vendita, forse più “femminili”: il creare una rete, cercare collaborazioni, comunicare ai clienti la bellezza celata nelle piante e nei frutti. Nella sua pagina facebook ad esempio racconta in modo simpatico, allegro e genuino il suo lavoro e la qualità del suo prodotto…
Lasciata la Calabria, salgo virtualmente un po’ più su, e parlo con Antonella, imprenditrice agricola campana.
“La parola agricoltrice non viene usata, non l’ho mai sentita. È lo stesso discorso di avvocato e avvocatessa, ingegnere e ingegnera, è tutto collegato ad un ambiente maschilista. La parola casalinga ha un’accezione positiva, sa di casa e di affetto, casalingo (come sostantivo maschile e non come aggettivo) invece non esiste. La discriminazione di genere c’è nel mondo dell’agricoltura, esiste una diffidenza verso la figura femminile “a comando” di un’azienda, anche se la donna è sempre stata molto presente in agricoltura, ma dietro le quinte. Il nostro è un ambiente prettamente maschile”.
Alla mia domanda “ma secondo te mi faccio problemi inutili riguardo la legittimità di questa parola?!?” Antonella risponde che il mio non è un ragionamento inutile, ma un pretesto per aprire i riflettori sul modo in cui la donna si propone, sempre più professionalmente valido. “Noi donne abbiamo tutte le capacità per fare la nostra parte a livello imprenditoriale e dirigenziale”.
Lei chiama le sue colleghe imprenditrici agricole, non contadine, non agricoltrici.
Volevo poi anche un altro punto di vista. Il punto di vista di una donna giovane del Nord. Volevo capire se più su nello stivale, e soprattutto in una generazione diversa, le cose cambiassero. Mi rivolgo così ad Elisabetta, giovane agricoltrice piemontese, che non ha ancora compiuto i 30 anni.
Elisabetta mi dice che per il suo carattere e per il suo modo di vedere il discorso, non le importa se viene usata la forma femminile o maschile di questa parola, non è fondamentale per lei essere chiamata agricoltore o agricoltrice. Crede che non si celi dietro questo una forma di sessismo o discriminazione. Secondo lei non è una cosa indispensabile, non è l’essenza del problema.
“A livello umano essere donna in questo settore non fa una grande differenza sull’essere uomo, non mi sento discriminata perché donna. Anzi, essere una giovane donna che dirige un’azienda agricola è un plus, mi sento incentivata, sento che questo è una risorsa. A volte mi capita di essere scelta per alcuni progetti non solo per la qualità dei miei prodotti, ma proprio perché la mia azienda è sinonimo di cambiamento, innovazione, mobilità: tutte caratteristiche dei giovani. Essere donna e giovane per me è una carta vincente da giocare!!!!”
La parola “agricoltrice” nel suo ambiente non si usa. Tra colleghi “non si chiamano in nessun modo”, nel senso che non usano i termini agricoltore o agricoltrice, né imprenditore o imprenditrice agricola. Semplicemente usano nome e cognome dell’interessato, o il nome dell’azienda agricola. Su Torino nota che viene molto usato il termine contadino (ma non contadina), con un’accezione estremamente positiva. Questa parola ha come “un tocco vintage”, valorizza il rapporto con la terra, la filiera corta, il ritorno al cibo sano e coltivato in piccola scala.
Alla fine del mio “viaggio linguistico” capisco che questa parola, la parola agricoltrice, in campo non si usa, mentre nel linguaggio comune è solo una novità, raramente utilizzata. Io, però, ho deciso di continuare ad usarla, così come uso molto la parola agricoltore rivolgendomi agli uomini che esercitano tale professione.
Non starò qui a sottolineare il ruolo fondamentale delle donne in agricoltura, né citerò dati, numeri, statistiche. Tanto è stato scritto su questo tema, tante sono le informazioni che si possono trovare a riguardo, incoraggianti o meno che siano. Non è questo il mio intento.
Qui voglio parlare di parole, anzi di una parola sola.
Riappropriamoci delle parole, dei nostri sostantivi femminili… usiamoli! Perché le parole sono importanti, le parole sono potenti.
E se le parole non esistono sul Treccani, beh allora inventiamocele!

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