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In André Chastel la gestualità nell’arte del Rinascimento

Riscopriamo la forza del gesto dell'artista che invita il lettore a un tuffo nel nobile '500.

Parole chiave: agensir (678)
In André Chastel la gestualità nell’arte del Rinascimento

L’estate è il tempo delle vacanze, un tempo in cui possiamo distendere la mente e dedicarci con serenità alla lettura, magari rispolverando qualche vecchio romanzo negli anni dimenticato o un avvincente best seller messo a riposo nella nostra libreria. Tra i vari testi che vorremmo risvegliare dal lungo letargo invernale ne proponiamo uno particolarmente interessante e di facile lettura, si tratta del “Gesto nell’arte” di André Chastel, pubblicato nel 2002 con la traduzione di Daria Pinelli. Il volume nasce da un Seminario tenuto al Collège de France dal 1977 al 1979 dal grande storico dell’arte francese e raccoglie una serie di studi da lui dedicati alla semantica della gestualità nell’arte del Rinascimento.Chastel invita il lettore ad un’attenta analisi della cultura figurativa rinascimentale e andando ben oltre lo studio stilistico dell’opera d’arte, offre la possibilità di vivere un’emozionante avventura nel complesso mondo delle immagini. E così il critico si trasforma in una specie di Ellery Queen dell’arte, indagatore di quel misterioso universo di segni “celati” che gli artisti hanno voluto mostrare o nascondere ai loro committenti e al pubblico. Un importante spazio è dedicato al signum harpocraticum, ovvero al segno del silenzio (Arpocrate nell’antichità era il Dio del silenzio). Chastel cita come esempio l’immagine del monaco domenicano affrescata nel convento di San Marco, opera realizzata dal Beato Angelico tra il 1440 ed il 1443. Il frate domenicano è rappresentato in posa ieratica e nel gesto classico di portare l’indice alla bocca, invitando al silenzio. Il reale significato del gesto va ben oltre l’allocuzione della quiete e proprio perché il dito è posto dinanzi alla bocca, esso ha le sue radici nell’iconografia gnostica che indica di chiudere la bocca per non lasciarvi entrare il demonio.In Egitto, all’epoca dei faraoni, il signum è associato alla sfinge e secondo le Metamorfosi di Ovidio la statua indicava “digito sile ntia suadet”. Il gesto ricompare in epoca rinascimentale nella statua di Lorenzo de’ Medici di Michelangelo, nella Cappella Medicea nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze. Chastel evidenzia quindi come il signum harpocraticum non è un simbolo saturnino bensì ermetico e rappresenta l’elogio del discorso e del segreto “che com’è noto era una preoccupazione costante nel Rinascimento”. Si tratta di una fondamentale chiave di lettura per risolvere altre opere d’arte complesse come l’enigmatico dipinto di “Giove e Mercurio” di Dosso Dossi (Vienna, Kunsthistorisches Museum).Un altro interessante capitolo del libro è dedicato alla “semantica dell’indice”. L’indice è un segno potente e può essere interpretato in vario modo: come gesto di ammonimento o come forza evocativa ed espressiva. Ammonimento è quello che compare in un antico mosaico romano (Roma, Museo Nazionale Romano), dove uno scheletro disteso indica il motto “Conosci te stesso”, che in tal caso ha la valenza del memento mori. L’indice puntato si carica di forza comunicativa quando viene riferito al tema sacro, come nella “Madonna in gloria con il Bambino” di Tiziano del 1520 (Ancona, Musei civici), dove il vescovo che indica la Vergine, con il suo gesto supplisce perfettamente alla parola. Chastel con il suo studio riesce dunque a rivelare questo particolare aspetto dell’arte rinascimentale, che trova massima espressione nel magnetismo del Cenacolo di Leonardo da Vinci (Milano, Santa Maria delle Grazie), dove i moti dell’animo si esprimono nella dinamica gestualità degli apostoli.

Fonte: Sir
In André Chastel la gestualità nell’arte del Rinascimento
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