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A che ora torna mamma?

Un film della regista brasiliana Anna Muylaert sulla solitudine dei figli

A che ora torna mamma?

“A che ora torna mamma?”, chiede il piccolo Fabinho alla sua domestica Val. Sono a bordo della bellissima piscina della casa dove vive il bambino, figlio di gente benestante di San Paolo, in Brasile. Fabinho ha tutti gli agi che i soldi possono comprare, ma è sempre solo: a crescerlo, di fatto, è la dolce e amorevole Val. A chilometri di distanza, anche una bambina pone la stessa domanda di Fabinho alla zia: “Quando torna mamma?”. È la figlia di Val a porre il triste quesito: anche lei vive senza la mamma, che lavora per i ricchi signori per farle avere i soldi, ed è tirata su dalla zia. A che ora torna mamma avrebbe dovuto essere il titolo del film “È arrivata mia figlia”, se si fosse seguito il criterio di una traduzione letterale. E avrebbe messo bene in evidenza come uno dei temi della pellicola della regista brasiliana Anna Muylaert è quello che riguarda il problema della solitudine dei figli, lasciati crescere da altri, privi dei riferimenti genitoriali, sia che siano appartenenti a famiglie agiate sia, invece, il contrario.Il destino di Fabinho e di Jessica (la figlia della domestica) pur essendo diversissimo ha un tratto in comune: entrambi hanno di fatto vissuto senza la madre (e il padre) vicini. Insieme a questa tematica, quanto mai attuale non solo in Brasile ma anche da noi in Europa, “È arrivata mia figlia” ne analizza anche altre, altrettanto importanti: la distinzione fra classi in un Brasile fortemente polarizzato socialmente, la condizione di chi lavora per i nuovi miliardari e si deve accontentare di essere trattato da cittadino di serie B, il nascere della consapevolezza di una donna matura e il ricostituirsi di un rapporto madre-figlia che ricomincia da zero. La storia è raccontata con i toni della commedia, ma diremmo una commedia “all’italiana”, nel senso che il tratto di indicatore sociologico della realtà è molto alto. Val lavora come cameriera a tempo pieno nella villa di una famiglia bene di San Paolo. Sa molto bene cosa l e è permesso fare e cosa no, in quali parti della casa poter stare e in quali no, quando poter parlare e quando rimanere in silenzio. Sono più di dieci anni che non vede la figlia Jessica, che ha affidato ad una zia nel Nord del paese. Un giorno, però, la ragazza si presenta in città per l’esame di ammissione alla facoltà di architettura. Il suo ingresso nella casa di Donna Barbara, del marito e del figlio, suo coetaneo, sovverte ogni regola non scritta di comportamento e mette sua madre di fronte alle domande che non si è mai posta. Jessica, infatti, non si presenta con il bagaglio di tacite conoscenze su cosa è concesso o meno a quelli come lei. Jessica è stata fortunata negli studi, ha trovato chi l’ha iniziata al pensiero critico, per lei la porta della cucina non è una linea di demarcazione scritta nei geni: è una porta come un’altra e, magari, nei disegni dei suoi futuri progetti, la toglierà del tutto.In termini cinematografici, Jessica è portatrice di un altro sguardo e di un altro uso del corpo nello spazio. Destruttura, gesto dopo gesto, stanza dopo stanza, un codice separatista che si basa sul patto tra chi pretende e chi lascia che ciò avvenga. E permette alla madre una presa di coscienza a cui prima non aveva neanche lontanamente mai pensato. “È arrivata mia figlia”, senza alcuna pretesa ideologica, racconta una realtà brasiliana ancora fortemente legata a sistemi classisti, in cui però, forse, le nuove generazioni porteranno una ventata di novità.

Fonte: Sir
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