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I lavori nei gruppi/5

Sintesi e lavori: la "via del trasfigurare"

Trasfigurare è uno sguardo che cerca l'uomo e soprattutto i poveri, facendo emergere che non c'è umanità laddove c'è scarto e ingiustizia". le necessità dei giovani di avvicinarsi alla liturgia e alla conoscenza della sacra Scrittura.

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Sintesi e lavori: la "via del trasfigurare"

Nella riflessione dei gruppi, il trasfigurare ha ricordato che Gesù di Nazaret nei suoi incontri quotidiani, nel suo sguardo sul mondo e l’umanità, non ha mai lasciato cose e persone come le aveva trovate, ma ha trasfigurato tutto e tutti. Ha fatto nuove tutte le cose. È il Signore che trasfigura, non siamo noi! Bisogna allora lasciarsi trasfigurare e non ostacolare l’opera di Dio in noi e intorno a noi, ma saperla piuttosto riconoscere e aderirvi. Percepire lo sguardo trasfigurante del Signore su di noi ci conduce a cogliere il valore dello sguardo sull’altro, come riconoscimento della sua dignità, soprattutto quando questa è attraversata da fragilità e povertà. Trasfigurare è allora sguardo che cerca l’uomo, specialmente i poveri, facendo emergere che non c’è umanità là dove c’è scarto e ingiustizia, dove si vive senza speranza e senza gratuità. In sintesi, trasfigurare è far emergere la bellezza che c'è, e che il Signore non si stanca di suscitare nella concretezza dei giorni, delle persone che incontriamo e delle situazioni che viviamo.

Spirito all’opera: fatiche e risorse

Dal confronto nei gruppi sono emerse tre fatiche che le nostre comunità vivono nell’attingere pienamente alle risorse di cui dispongono: un attivismo talvolta eccessivo, una insufficiente integrazione tra liturgia e vita, una certa frammentarietà della proposta pastorale.

Prima fatica. Di fronte a un certo attivismo pastorale è emersa l’esigenza, soprattutto da parte del tavolo dei giovani, di proporre cammini di fede che comprendano esperienze significative di preghiera, di formazione liturgica e di accompagnamento spirituale. C’è domanda di interiorità, ma che ancora non trova risposte soddisfacenti nelle scelte di educazione alla fede dei giovani nelle nostre Chiese locali. Mentre le parrocchie sembrano riservare più attenzione all’aggregazione e all’animazione, la domanda di interiorità sembra maggiormente soddisfatta all’interno delle associazioni e dei movimenti ecclesiali.

Seconda fatica. Un’insufficiente integrazione tra liturgia e vita è sperimentata come una mancanza di coinvolgimento esistenziale del credente con il mistero di Cristo celebrato. Per questo si richiede una liturgia più capace di introdurre al mistero, contro forme troppo dispersive di liturgia, rumorose, trionfali e poco essenziali, spesso avulse dal vissuto delle persone. L’attenzione mistagogica potrebbe rivitalizzare la liturgia, per aprirsi alla grazia e alla vera esperienza di Dio. Occorre dunque “trasformare in vita i gesti della liturgia”, perché non ci sia separazione tra liturgia, carità e profezia. L’essenziale della liturgia cristiana sta fuori della liturgia.

Terza fatica. Rilevando una certa frammentarietà della proposta pastorale si è evidenziata la difficoltà di tenere insieme annuncio, liturgia e carità, spezzando così l’alleanza tra Parola di Dio e profezia, tra Parola e partecipazione ai sacramenti, tra Parola e carità. L’urgenza, allora, è quella di dare circolarità a queste tre componenti. 

Linee di azione

Le linee di azione indicate dai gruppi si possono raccogliere in tre grandi ambiti: Parola di Dio, liturgia e carità.

Da tutti i gruppi è stato ribadito il primato della parola di Dio annunciata, ascoltata e pregata. Per questo occorre rilanciare la lectio divina, ritenuto un esercizio molto valido per una lettura sapienziale ed esistenziale delle sante Scritture. Non si tema di permettere a tutti di accostarsi alle Scritture, attraverso momenti di preghiera e di confronto anche in famiglia e attraverso centri di ascolto nei quartieri. Si sperimentino inoltre momenti di silenzio e di preghiera nelle comunità, per far crescere l’interiorità e così pedagogicamente preparare a gustare il mistero celebrato. Si è infatti auspicato che non vi sia separazione tra lectio divina e ascolto della parola di Dio nella liturgia. E’ poi emersa la liturgia come evento di trasfigurazione sia in quanto culmine che in quanto fonte di tutta la vita cristiana. Si chiede un profondo rinnovamento che coinvolga tutti, pastori e fedeli nella preparazione e nell’intelligenza della liturgia. Attraverso la bellezza dei riti e la sua sobrietà, si auspica che la liturgia torni ad essere gustata dai fedeli; torni a interagire con tutte le dimensioni dell’umano, per riscoprire la dimensione contemplativa e simbolica della vita cristiana. Pertanto si valorizzino e si formino gruppi liturgici che aiutino la comunità a crescere e a educarsi al senso del bello e a vivere tutti i momenti della liturgia. Molti hanno poi auspicato che da una viva partecipazione alla liturgia e soprattutto all’eucaristia domenicale, nasca una ricca ministerialità, che sappia accogliere, animare, accompagnare e sostenere tutte le persone di ogni fascia di età con una particolare attenzione a quelle più in difficoltà. Circa la risorsa della domenica è emersa la necessità di una sua piena valorizzazione, nella sua dimensione di festa del popolo di Dio e nella sua carica umanizzante. Infine, come terza linea di azione, sono stati indicati i luoghi di trasfigurazione dell’umano nell’esercizio di una carità capace di accogliere e coinvolgere tutti con umiltà, disinteresse e gioia delle beatitudini, come il Papa ci ha ricordato. Ogni luogo dell’umano sia vissuto pienamente e abitato dall’azione dello Spirito Santo, affinché ciascuno diventi testimone, e attraverso l’incontro e il dialogo, sappia suscitare desiderio dell’Oltre in quanti hanno smarrito il senso della vita o sono gravemente feriti nel corpo e nello spirito. La contemplazione del volto di Cristo trasfigurato ci deve spingere concretamente nel quotidiano a testimoniare la gioia dell’essere cristiani, facendoci prossimo agli uomini e alle donne che incontriamo. La cura delle relazioni e la tenerezza nel modo di presentarci, ci facciano sentire compagni di viaggio e amici dei poveri e dei sofferenti. In fine, la pietà popolare vissuta come un’opportunità e non come un problema pastorale. Sicuramente bisognosa di evangelizzazione, ma non di emarginazione; risorsa utile per formare la coscienza civile e legale, dare consistenza al radicamento sul territorio e alla appartenenza ad una comunità. Forse in alcune aree del nostro Paese è stata accantonata, mentre si rivela importante per la fede del popolo di Dio, per i semplici e, senza dubbio, potrebbe svolgere un ruolo importante nel tenere i legami tra le generazioni.

 Impegni

Dal discernimento operato dai partecipanti alla quinta via, cogliamo tre consegne:

 

Prima consegna. Il rinnovamento liturgico del Concilio è una realtà in atto che chiede a noi fedeltà e responsabilità.

 

A cinquant’anni dalla chiusura del Concilio, dobbiamo anzitutto riconoscere che la riforma liturgica è stata una benedizione per le nostre comunità. L’impegno per il rinnovamento liturgico non è alle nostre spalle, perché il Concilio è un evento che continua ancora oggi a generare novità nella liturgia come in tutta la vita della Chiesa. Per questo, dobbiamo continuare a camminare, senza incertezze e ripensamenti, sulla via tracciata dalla riforma liturgica conciliare, perché dal rinnovamento della liturgia passerà ancora il rinnovamento della Chiesa stessa. Infatti, alcuni  gruppi hanno sottolineato la necessità di considerare la liturgia come prima fonte della vita cristiana e della nostra trasfigurazione in Cristo. Perché questo possa avvenire, le nostre liturgie devono essere sempre di più segnate dalla bellezza e da quella nobile semplicità, voluta dal Concilio.

Per questo la prima consegna di questo Convegno alla Chiesa italiana è di riaffermare il posto centrale che occupano la liturgia, la preghiera e i sacramenti nella vita ordinaria delle comunità. La liturgia è il luogo dove la Chiesa stando alla presenza di Dio diventa ciò che è, ascoltando il Vangelo discerne la sua missione nel mondo. Solo quella comunità cristiana che pone al centro la liturgia riconosce che ciò che la tiene in vita non è il suo attivismo talvolta sfibrante, ma ciò che il Signore fa per lei. Nel suo essere priva di scopi, la liturgia addita il valore della gratuità e che la misura del nostro essere Chiesa non è il conseguimento di risultati verificabili e dunque mondani, ma l’essere Chiesa secondo il Vangelo. Perché, “non è dai risultati che si giudica il Vangelo” (Enzo Bianchi). Un gruppo ha avanzato la proposta che ogni comunità sappia trovare tempi e modi per sospendere ogni sua attività e sostare in preghiera comune per rigenerarsi alla fonte della fede. Allo stesso modo, anche la famiglia è chiamata a trovare tempi e spazi di preghiera, perché la famiglia è il luogo primo dove “imparare la liturgia”, ossia fare esperienza di quei valori umani presenti nei segni liturgici, come l’ascolto, il silenzio, la condivisione, il perdono, il rendimento di grazie. 

Per questo, tutto ciò che papa Francesco nella Evangelii gaudium domanda alla Chiesa chiama direttamente in causa anche la liturgia della Chiesa. Ridare alle liturgie delle nostre comunità un nuovo soffio è un compito decisivo nel quale la Chiesa che è in Italia è chiamata a impegnarsi nel decennio che ci sta davanti.

Seconda consegna. La Chiesa che celebra e che prega è anche la Chiesa in uscita

Non possiamo nascondere il timore che, se compreso in modo distorto, l’invito evangelico di papa Francesco a una Chiesa sempre in uscita, possa far pensare che tra la chiesa in preghiera e la chiesa in uscita possa esserci contrapposizione: l’una rivolta al suo interno attraverso la preghiera, la liturgia e i sacramenti; l’altra impegnata a uscire per raggiunge tutte le periferie. No, non ci sono due chiese, perché uno è il Cristo vivente, pregato e celebrato per ciò che lui è, e da noi riconosciuto presente nella persona del povero che è il suo più reale sacramento. Questo significa che la preghiera è il primo atto di una Chiesa in uscita, come la preghiera di Gesù nel luogo deserto è il primo atto della sua missione a Cafarnao. La Chiesa che celebra è la stessa che va verso le periferie esistenziali, per la semplice ragione che oggi, per un numero sempre più grande di persone, la liturgia è soglia al mistero di Dio. Negheremmo l’evidenza dei fatti se non ammettessimo che la pastorale dei sacramenti è oggi chiaramente una pastorale missionaria. La domanda del battesimo per i figli e le tappe della loro iniziazione, la richiesta del matrimonio cristiano, l’esperienza del male e della colpa, le dolorose prove della malattia e della morte, anche queste sono le periferie esistenziali verso le quali la Chiesa è impegnata a uscire. Per questo, nella liturgia come anche nello stile e nell’agire concreto della comunità, dovrebbe emergere sempre di più che il trasfigurare investe la vita quotidiana, ma anche la cultura e le tradizioni di fede di un territorio. Uscire, leggiamo infatti in Evangelii gaudium, significa non stare in attesa ma prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnando l’umanità. Chi ha esperienza dell’umano sa che bene che nell’ordinaria pastorale dei sacramenti la Chiesa è condotta agli incroci delle strade, la dove si incontra l’umanità reale.

All’uomo che oggi fatica a dare un senso alle grandi tappe della sua vita, i sacramenti della Chiesa offrono la luce del progetto di Dio sulle sue creature. Vita, amore, morte sono, ieri come oggi, le parole dell’umanizzazione, e la richiesta ancora molto ampia in Italia che i sacramenti della Chiesa segnino le grandi tappe della vita, impegna la Chiesa italiana a uscire incontro a questa domanda, non tanto per assecondare tradizioni religiose e abitudini sociali, ma uscire per discernere nella domanda dei sacramenti quel sentimento, più o meno confuso e tuttavia ancora presente nella nostra gente, che nel venire alla vita, nell’amare e nel morire si gioca qualche cosa di essenziale e decisivo per la loro vita. Per questo, l’azione sacramentale è essa stessa scelta missionaria di una Chiesa dalle porte aperte che incontra i lontani e trasfigura i luoghi dove la vita accade.  

I sacramenti della Chiesa sono un cammino di umanizzazione evangelica.

 Terza consegna. Far vivere l’umanità della liturgia è il compito che ci attende

Una delle acquisizioni di questo Convegno ecclesiale è aver raggiunto la consapevolezza che la realizzazione del nuovo umanesimo in Gesù Cristo non può prescindere dalla natura profondamente umana e autenticamente divina della liturgia. Negli anni che ci stanno davanti sarà più che mai necessario incamminare le comunità cristiane verso la ricerca di una sempre maggiore umanità della loro liturgia, facendo in modo che i credenti assidui come quelli occasionali, attraverso l’umanità del gesto, del linguaggio e dello stile liturgico, facciano esperienza dell’umanità di Dio rivelata da Gesù Cristo.

Dalla lettura delle sintesi mi è venuto spontaneo quanto scritto dal Cardinal Martini: “Se nei vangeli si parla poco o nulla di liturgia, ciò avviene perché essi sono di fatto una liturgia vissuta con Gesù in mezzo ai suoi (…) E’ questa la liturgia dei vangeli: essere attorno a Gesù nella sua vita e nella sua morte (…) Tutto ciò che i vangeli riferiscono di Gesù tra la gente è un’anticipazione della liturgia e, a sua volta, la liturgia è una continuazione dei vangeli”[1]. La liturgia dei vangeli, di cui parla il cardinale Martini, ci indica che sarà sempre più urgente che le nostre liturgie siano capaci di ricreare quel tipo di relazione che Gesù di Nazaret sapeva creare con le persone che incontrava. “La relazione - è stato detto nei gruppi - è lo stile del trasfigurare”.  Una relazione che è fatta di gesti semplici, ordinari e insieme straordinari per la carica di umanità che trasmettono. “Occorre ritornare alla stanza al piano superiore” in cui Gesù ha celebrato l’ultima cena lavando i piedi ai discepoli.

L’intera esistenza di Gesù è stata una liturgia ospitale, e anche le nostre liturgie sono chiamate a esserlo oggi più che mai. Per questo, negli anni che ci stanno davanti la santità della liturgia sarà chiamata a declinarsi come santità ospitale; non una santità di distanza ma di prossimità.

Di fronte a tutto questo, le liturgie di domani per essere cammini di prossimità, di misericordia, di tenerezza e di speranza saranno chiamate a diventare spazi di santità ospitale. Liturgie ospitali che sanno andare incontro alle persone fino a portare la fatica di chi fatica a vivere e a credere; che siano consolazione per chi è provato e ferito dalla vita, che siano capaci di dare ragioni per sperare. La cura delle relazioni e la tenerezza nel modo di presentarci, ci facciano sentire compagni di viaggio e amici dei poveri e dei sofferenti. La liturgia che ci attende sarà a immagine del Cristo che proclama: “ Venite a me voi tutti affaticati e oppressi e io vi darò riposo” (Mt 11,28).

Solo così la liturgia della Chiesa sarà all’altezza della Vangelo di Cristo.

[1] C.M. Martini, “La liturgia mistica del prete. Omelia nella Messa crismale”, Rivista della Diocesi di Milano 89/4 (1998), pp. 641-648, p. 642.

Goffredo Boselli

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