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Amoris Laetitia. Lente d'ingrandimento sul documento papale incentrato sulla famiglia

La bellezza dell'amore di amicizia

L'amore degli sposi, declinato dall'esortazione, punta alla concretezza e alla pienezza. Invita all'amicizia coniugale e sociale

Parole chiave: amoris laetitia (7)
La bellezza dell'amore di amicizia

L'uomo che sposerò è l’uomo ideale”, “La mia fidanzata non ha difetti”, “Tutto mi piace di lui/lei”. Quante volte abbiamo sentito pronunciare queste frasi nei corsi di preparazione al matrimonio.

Quante volte le abbiamo pensate noi stessi. Prima di sposarci, ovviamente. Dopo qualche mese dalle nozze, però, qualcosa cambia: “il mio principe azzurro appare un po’ sbiadito” – sospira lei ; “la mia sposa non assomiglia né a cenerentola né a mia madre: grave!” – pensa lui: “sono stato ingannato” pensano entrambi.

E diventano diffidenti l’uno dell’altro; proprio come Adamo ed Eva. Ma i due non si sono mentiti, semplicemente si sono illusi. Molte crisi coniugali oggi partono proprio da qui, dalla disillusione. Per questo, Papa Francesco, nella esortazione apostolica, Amoris Laetitia, insiste sui concetti di concretezza e pienezza.

Amore concreto

L’amore ci porta a guardare l’altro senza idealizzarlo, ad accoglierlo nella sua realtà, con i suoi limiti e le sue debolezze. Siamo chiamati a vedere nel volto dell’altro il volto di Cristo, scrive il Papa (323).  Ma il suo volto è quello piagato sulla croce e non solo quello radioso della Resurrezione. Amare concretamente l’altro come Cristo, significa essere convinti che porta in sé una perfezione che solo dopo la morte sarà compiuta e realizzata. L’idealismo, al contrario, ci allontana dal vivere con autenticità il matrimonio che non è qualcosa di immobile e definito una volta per tutte: è un cammino dinamico di crescita e di realizzazione (n. 37).  Siamo chiamati a conservare l’umiltà del realismo. Spesso abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario (36). Il “realismo spirituale” fa sì che i fidanzati prima, e gli sposi poi imparino a “disilludersi” l’uno dell’altro, smettendo “di attendere da quella persona ciò che è proprio soltanto dell’amore di Dio” (320): non esiste né la donna, né l'uomo ideale, dunque, neanche esiste la famiglia perfetta.  Lo sposo e la sposa maturi sono capaci di scegliersi ogni giorno “al di là dei limiti della relazione, e accettano con realismo che [l’altro] non possa soddisfare tutti i sogni accarezzati” (238).

Amore pieno

La persona che amo, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo. Là - sottolineiamo là - completamente trasformata dalla risurrezione di Cristo, non esisteranno più le sue fragilità, le sue oscurità né le sue patologie (117). Là. Ma fin tanto che siamo qua, dobbiamo pensare all’altro, e prima ancora a noi stessi, come a uomini e donne imperfetti, che ricercano e aspirano a quella perfezione, che sarà compiuta dopo la vita terrena; e che solo l’altro - ed è questa la bellezza irrinunciabile di ogni relazione amicale, in particolare di quella coniugale  - quanto più è diverso da me, quanto più mi inquieta e interroga, tanto più mi permette di raggiungere secondo un processo che va dall’imperfezione alla maggiore pienezza (264). Gesù nell’incarnazione, assume l’amore umano, lo purifica, lo porta a pienezza, e dona agli sposi, con il suo Spirito, la capacità di viverlo, pervadendo tutta la loro vita di fede, speranza e carità (67). Gli sposi sono chiamati a contemplare quella pienezza smettendo di pretendere dalla relazione interpersonale una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo (325).

Amicizia coniugale

I coniugi sono chiamati ad amarsi con amore di Amicizia: Dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la più grande amicizia (123). Già prima dell’uscita dell’esortazione, il nostro Vescovo, mons. Nolè, aveva pronunciato parole simili, invitando i coniugi ad essere amici esclusivi e fedeli, a curare il dialogo e i gesti di tenerezza, a non cercare fuori dal matrimonio ciò che il matrimonio naturalmente dona.

L’Amicizia coniugale comprende le note della passione ma ricerca la stabilità (142). Dunque, l’amore d’amicizia degli sposi non rinuncia alle passioni. È anzi un amore appassionato. Le passioni occupano, infatti, un posto importante nel matrimonio. Anche Gesù viveva le relazioni con una carica emotiva.  L’amore appassionato in famiglia fa sì che la vita emotiva diventi un bene e sia al servizio della vita comune. Ciò, è vero, comporta delle rinunce. Le rinunce rendono meno bello l’amore? No. Lo innalzano, lo avvicinano alla pienezza.  L’altro non mi toglie qualcosa, ma educa le mie passioni perché non finisca per essere ossessionato da un piacere che inevitabilmente ammala il piacere stesso fino a danneggiare se stessi e la vita famigliare.  Non è necessario rinunciare a istanti di vera gioia: è importante viverli come momenti intrecciati alla vita familiare e non sganciati da essa.  L’Amore appassionato, inoltre, vive la sessualità come un regalo meraviglioso di Dio. San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a una negazione del valore del sesso umano o che semplicemente lo tolleri per la necessità stessa della procreazione.

Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e non si tratta in alcun modo di mettere in questione quel bisogno (150).

La sessualità è inseparabile da quell’amore di amicizia che richiede tenerezza ed è orientato alla pienezza. Dunque non si riduce mai a manipolazione dell’altro, né genera sofferenza, ma è sempre espressione di donazione reciproca.

Amicizia sociale

Mentre costruiscono e consolidano l’amicizia coniugale, gli sposi si impegnano a realizzare un’amicizia più grande che è quella sociale! L’individualismo di questi tempi conduce a rinchiudersi nella sicurezza di un piccolo nido e a percepire l’altro come un pericolo (187). Ma l’isolamento non rende felici. Nessuna famiglia può essere feconda e autenticamente gioiosa se si concepisce come troppo differente o separata dalla comunità in cui vive. Anche la famiglia di Gesù non era considerata una famiglia “strana”: per questo la gente faceva fatica a riconoscere la sapienza di Gesù e diceva “da dove gli vengono queste cose?...non è costui il figlio del falegname? (Mc 6,2-3). Anche Gesù viveva non nella relazione esclusiva con Maria e Giuseppe ma si muoveva con piacere nella famiglia allargata in cui c'erano parenti e amici (182): nel vangelo di Luca, leggiamo infatti, che Maria e Giuseppe persero Gesù al Tempio perché pensavano fosse con la comitiva.  Noi famiglie cristiane siamo perciò chiamate a integrarci con la società. Invece spesso per i linguaggi che usiamo, o le posizioni rigide che assumiamo creiamo separazioni e viviamo come scisse dalla società.

Siamo chiamate a fare amicizia con la gente, specie con chi sta peggio di noi, con i sofferenti e i poveri: chi opera divisioni e discriminazioni, chi si disinteressa dei bisognosi non è degno di accostarsi all’Eucarestia (186). Siamo, infatti, un unico corpo.  Non isoliamoci, neanche dalla famiglia allargata, dove ci sono i genitori, gli zii, i cugini ed anche i vicini (187). Soprattutto onoriamo il padre e la madre: “onorare” indica l’adempimento degli impegni familiari e sociali nella loro pienezza, senza trascurarli con pretese scusanti religiose (17).

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