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Impegnarsi nel sociale senza contrapporre “Dio” e “Cesare”

Francesco all'Angelus: "Contrapporre Dio e Cesare sarebbe un atteggiamento fondamentalista. Il cristiano è chiamato a impegnarsi concretamente nelle realtà terrene, ma illuminandole con la luce che viene da Dio. L’affidamento prioritario a Dio e la speranza in Lui non comportano una fuga dalla realtà, ma anzi un rendere operosamente a Dio quello che gli appartiene".

Impegnarsi nel sociale senza contrapporre “Dio” e “Cesare”

Gesù è a Gerusalemme, sono gli ultimi giorni prima della cattura e della condanna alla crocifissione. Si trova di fronte a coloro che tramano per eliminarlo, cioè farisei e erodiani, popolazione a sud del mar Morto sotto la Giudea: filogovernativi e collaborazionisti questi ultimi, contrari all’occupazione romana i primi. Strana coalizione, con l’unico obiettivo di tendere una trappola all’interlocutore. Matteo, in questa pagina domenicale del Vangelo, ci mette di fronte a tre elementi: il sottile inganno, come abbiamo detto, la moneta e la risposta spiazzante di Gesù. La moneta è il census coniata appositamente da Roma per il tributo dovuto all’impero dal popolo della Giudea, esclusi anziani e bambini. Valeva una giornata di lavoro, segno odioso di schiavitù. La domanda – “è lecito o no pagare il tributo a Cesare” – è di difficile risposta perché sottende un tranello: sulla moneta è raffigurata l’immagine di Cesare e il comandamento proibiva di fare immagini di qualsiasi persona. Così una risposta positiva poteva costare l’accusa di idolatria; una negativa, l’accusa di essere un sobillatore politico.
La domanda è preceduta da una affermazione elogiativa, riconoscendogli coerenza e capacità di dire la verità in ogni situazione. Ma Gesù li prende in contropiede. In primo luogo chiede la moneta: lui non ha soldi in tasca, farisei e erodiani sì. Indiretta critica verso i suoi interlocutori che tirano in campo problemi di coscienza nella misura in cui questi toccano i loro beni, i soldi. Poi risponde: rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio. Risposta spiazzante, dunque. Ma anche il verbo usato – rendere – non è meno impegnativo, perché presuppone un restituire qualcosa avuto in dono. Come dire, pagare il proprio tributo, oggi diremmo le tasse, è un dovere al quale non è lecito venire meno, perché è un restituire un servizio di cui abbiamo goduto.
“Intimando di restituire all’imperatore ciò che gli appartiene, Gesù dichiara che pagare la tassa non è un atto di idolatria, ma un atto dovuto all’autorità terrena”, afferma Francesco all’Angelus. Nello stesso tempo “richiamando il primato di Dio, chiede di rendergli quello che gli spetta in quanto Signore della vita dell’uomo e della storia”.
L’immagine incisa sulla moneta, afferma ancora il Papa, ci dice “che è giusto sentirsi a pieno titolo – con diritti e doveri – cittadini dello Stato”. Ma c’è l’altra immagine “che è impressa in ogni uomo: l’immagine di Dio. Egli è il Signore di tutto, e noi, che siamo stati creati ‘a sua immagine’ apparteniamo anzitutto a lui”. Di qui l’interrogativo più radicale per Papa Francesco: “A chi appartengo? Alla famiglia, alla città, agli amici, alla scuola, al lavoro, alla politica, allo Stato? Sì, certo. Ma prima di tutto – ci ricorda Gesù – tu appartieni a Dio. È lui che ti ha dato tutto quello che sei e che hai”.
Il messaggio che ci viene dalle parole di Gesù è un distinguere il campo della politica da quello del sacro, del divino: non una separazione netta, ma nemmeno un farli coincidere, perché se è vero che la politica può essere vissuta come servizio a Dio, questa non coincide con il Regno di Dio. Tornano alla mente le parole pronunciate dal Benedetto XVI nel Westminster Hall di Londra il 17 settembre del 2010, quando, riflettendo sul fondamento etico per le scelte politiche, sottolineava il ruolo correttivo della religione nei confronti della ragione, sostenendo che “senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana”.
Il cristiano, dice il Papa, è chiamato a impegnarsi nelle realtà umane e sociali senza contrapporre ‘Dio’ e ‘Cesare’, ma illuminando le realtà terrene con la luce che viene da Dio”. Affidarsi a lui, non è “fuga dalla realtà”. Il credente “guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere la vita terrena in pienezza, e rispondere con coraggio alle sue sfide”.

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