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Gabriel Marcel, l'io e l'altro, "fratelli tutti"

Il filosofo francese tra gli autori citati da papa Francesco nella sua terza enciclica. L'intersoggettività e l'uscita da sè per incontrare il fratello che ci parla. Un tema che accompagna trasversalmente il documento papale, a partire dalla cultura dello scarto, dell'accoglienza ai migranti e dalla cura del privato. 

Gabriel Marcel, l'io e l'altro, "fratelli tutti"

“Quando dico che un essere mi è stato dato come presenza o come essere (è poi la stessa cosa, in quanto non è per me un essere se non è una presenza), significa che non posso trattarlo come se fosse semplicemente posto davanti a me; tra lui e me si allaccia una relazione, la quale in un certo senso supera i limiti stessi di coscienza che io posso acquistare di tale rapporto; non è più soltanto davanti a me, è anche in me; o, più esattamente, queste categorie sono superate, non hanno più senso”.

Lo scriveva il filosofo e critico francese Gabriel Marcel in “Posizioni e approcci concreti al mistero ontologico” nel 1972. Un’espressione di Marcel è citata al n, 87 di “Fratelli tutti”, all’interno del paragrafo che fa riferimento a “Un mondo aperto” e che invita a tenere sempre presente il paradigma “Io – l’altro”. Siamo nel cuore del personalismo comunitario di un altro autore come Emmanuel Mounier, dove l’individuo è “prosopon” e la cui vocazione è l’u “uscire da sé”.

Marcel

Marcel evidenzia l’intersoggettività come costitutiva dell’Io, il quale, pertanto, ritrova se stesso solo in rapporto con un altro ente. Sembra di ascoltare l’eco dell’incontro genesiaco tra Adamo ed Eva, quando si ritrovano uno di fronte all’altro e l’uomo disse: “E’ carne della mia carne e ossa delle mie ossa”. Lì, in una prospettiva religiosa e biblica, nacque l’intersoggettività, soprattutto perché quell’evento avvenne nell’armonia dell’Eden. Per Marcel, l’intersoggettività è “il nesso per il quale un dato fatto mi parli”. L’approccio del Francese era ontologico, perché si muoveva tra l’essere e l’esistere, il cosiddetto coesse, un binomio tale da essere già intersoggettività.

Nella prospettiva assunta da papa Francesco, però,

l’altro costituisce l’essenza e il costitutivo dell’io, e in questo senso ne permette l’esistenza. Oggi il dato che “ci parla” è il volto dell’anziano e del bambino, estremi paradigmatici di una cultura dello scarto che il Santo Padre non cessa di denunciare; del migrante non accolto, quando invece – precisa Francesco – le migrazioni sono un fatto inevitabile e una risorsa; del creato deturpato, che significa tradimento di quella stessa prima pagina della Scrittura.

L’io e l’altro che si trovano l’uno dinanzi all’altro diventano fratelli. La società del XX e XXI secolo, quella nata dalle ceneri della caccia al diverso, ha gli strumenti per pensare con un’antropologia della koinonia. Ha il concetto di “persona”, approfondito anzitutto a livello giuridico e filosofico, che cristianamente diventa professione di fiducia nel Dio unitrino; ha il concetto di diritto fondamentale, che è argine e garanzia di un equilibrio sociale e istituzionale; vive la globalizzazione, il grande contenitore delle glocalizzazioni e dunque dei microcosmi.  

Il primo piccolo mondo è l’eteros, l’altro che abbiamo davanti. Chiunque sia e dove siamo. Questo è l’aspetto pratico della fraternità. Meglio se con il gusto di quella parola che viene dal Signore: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono là in mezzo a loro”.

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