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Francesco: la speranza è una persona, si chiama Gesù

Udienza generale dedicata ancora a una delle virtù teologali. L'invito del Santo Padre a rispondere al male con il bene. 

Francesco: la speranza è una persona, si chiama Gesù

“La nostra speranza non è un concetto, non è un sentimento, non è un telefonino, non è un mucchio di ricchezze: no, la nostra speranza è una Persona, è il Signore Gesù che riconosciamo vivo e presente in noi e nei nostri fratelli, perché Cristo è risorto”. Lo ha esclamato il Papa, durante l’udienza di oggi, dedicata alla speranza così come viene declinata nella prima lettera di Pietro. “Cristo è veramente risorto, e questo è un bel saluto da darci nei giorni di Pasqua”, ha detto a braccio Francesco: “Cristo è risorto, Cristo è risorto: ricordarci che Cristo è risorto, è vivo e abita in ciascuno di noi”. “I popoli slavi, invece di dire buongiorno, buonasera – ha proseguito il Papa sempre fuori testo – nei giorni di Pasqua si salutano con questo: Cristo è risorto, e sono felici di dirlo. E questo è il buongiorno e la buonasera che si danno: Cristo è risorto!”. “La prima lettera dell’apostolo Pietro porta in sé una carica straordinaria!”, ha esordito Francesco: “Riesce a infondere grande consolazione e pace, facendo percepire come il Signore è sempre accanto a noi e non ci abbandona mai, soprattutto nei frangenti più delicati e difficili della nostra vita”. “Ma qual è il segreto di questa Lettera?”, ha chiesto il Papa ai fedeli, a cui poi si è rivolto ancora a braccio: “Io so che oggi prenderete il Nuovo Testamento, cercherete la prima lettera di Pietro e la leggerete adagio adagio per capire il segreto e la forza di questa lettera”. “Il segreto sta nel fatto che questo scritto affonda le sue radici direttamente nella Pasqua, nel cuore del mistero che stiamo per celebrare, facendoci così percepire tutta la luce e la gioia che scaturiscono dalla morte e risurrezione di Cristo”, la risposta di Francesco: “È per questo che san Pietro ci invita con forza ad adorarlo nei nostri cuori. Lì il Signore ha preso dimora nel momento del nostro Battesimo, e da lì continua a rinnovare noi e la nostra vita, ricolmandoci del suo amore e della pienezza del suo Spirito. Ecco allora perché l’Apostolo ci raccomanda di rendere ragione della speranza che è in noi”.

“I mafiosi pensano che il male si può vincere col male, e così fanno vendetta e tante cose che tutti sappiamo, ma non conoscono cosa sia l’umiltà, la misericordia e la mitezza: perché i mafiosi non hanno speranza. Pensate a questo!”. Della speranza, ha spiegato Francesco, “non si deve tanto rendere ragione a livello teorico, a parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita, e questo sia all'interno della comunità cristiana, sia al di fuori di essa”. “Se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora dobbiamo anche lasciare che si renda visibile, non nasconderlo, e che agisca in noi”, l’esortazione del Papa: “Questo significa che il Signore Gesù deve diventare sempre di più il nostro modello di vita e che noi dobbiamo imparare a comportarci come lui si è comportato. Fare lo stesso che faceva Gesù”. “La speranza che abita in noi, quindi, non può rimanere nascosta dentro di noi, nel nostro cuore”, ha ammonito Francesco: “Sarebbe una speranza debole, che non ha il coraggio di uscire fuori e farsi vedere. La nostra speranza, come traspare dal Salmo 33 citato da Pietro, deve necessariamente sprigionarsi al di fuori, prendendo la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto e della benevolenza verso il prossimo, arrivando addirittura a perdonare chi ci fa del male”. “Una persona che non ha speranza non riesce a perdonare, non riesce a dare la consolazione del perdono e ad avere la consolazione di perdonare”, ha aggiunto il Papa fuori testo: “Sì, perché così ha fatto Gesù, e così continua a fare attraverso coloro che gli fanno spazio nel loro cuore e nella loro vita, nella consapevolezza che il male non lo si vince con il male, ma con l’umiltà, la misericordia e la mitezza”.

“Ogni volta che noi prendiamo la parte degli ultimi e degli emarginati o che non rispondiamo al male col male, ma perdonando senza vendetta, perdonando e benedicendo, ogni volta che facciamo questo, noi risplendiamo come segni vivi e luminosi di speranza, diventando così strumento di consolazione e di pace, secondo il cuore di Dio” -ha assicurato il Papa, che ha concluso la catechesi dell’udienza di oggi parlando ancora una volta a braccio: “Così avanti con la dolcezza, la mitezza, essere amabili, fare del bene anche a quelli che non ci vogliono bene o ci fanno del male. Avanti!”. Poco prima, Francesco aveva spiegato “perché san Pietro afferma che è meglio soffrire operando il bene che facendo il male: non vuol dire che è bene soffrire, ma che, quando soffriamo per il bene, siamo in comunione con il Signore, il quale ha accettato di patire e di essere messo in croce per la nostra salvezza”. “Quando allora anche noi, nelle situazioni più piccole o più grandi della nostra vita, accettiamo di soffrire per il bene, è come se spargessimo attorno a noi semi di risurrezione, semi di vita e facessimo risplendere nell’oscurità la luce della Pasqua”, ha assicurato il Papa. È per questo, ha spiegato, che San Paolo “ci esorta a rispondere sempre augurando il bene: la benedizione non è una formalità, non è solo un segno di cortesia, ma è un dono grande che noi per primi abbiamo ricevuto e che abbiamo la possibilità di condividere con i fratelli. È l’annuncio dell’amore di Dio, un amore smisurato, che non si esaurisce, che non viene mai meno e che costituisce il vero fondamento della nostra speranza”.

Fonte: Sir
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