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Vatileaks, scoop perfetto per il giornalismo imperfetto

La deontologia professionale esige che il giornalista trovi le notizie, le verifichi e le pubblichi. Il problema sorge proprio all’inizio: “Trovi le notizie”. Qui non è stato trovato un bel nulla, una manina ha passato delle carte da organizzare nella maniera più opportuna. Un vezzo o un vizio assai ricorrente in Italia, dove gli “scoop” avvengono perché qualcuno – che non è il giornalista – lo decide. Accade nei palazzi di giustizia e della politica… Ci mancava il Vaticano.

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Vatileaks, scoop perfetto per il giornalismo imperfetto

In tutta la vicenda dei documenti riservati del Vaticano dati in pasto ai giornalisti c’è un aspetto poco approfondito. E cioè la singolare coincidenza della pubblicazione contemporanea di due volumi, realizzati da diversi autori per diverse case editrici, che però hanno gli stessi contenuti, sebbene organizzati e commentati in maniera diversa. Gli amanti di spy story hanno subito decretato che si tratta di uno dei metodi più antichi e collaudati per essere certi della pubblicazione di un documento scottante: affidarlo a due persone diverse. In tal modo ciascuno non potrà tirarsi indietro temendo che l’altro faccia ciò che lui non ha il coraggio di fare o non può fare. Nel caso dei due volumi di Nuzzi, “Via Crucis”, e Fittipaldi, “Avarizia”, potrebbe essere andata proprio così.
Allora i due giornalisti, che sulla stampa e nelle comparsate televisive hanno indossato gli abiti dei cronisti duri e puri che pubblicano ogni notizia di interesse sociale, non sarebbero stati altro che strumenti nelle mani di chi voleva che quei documenti trafugati arrivassero al grande pubblico? La deontologia professionale esige che il giornalista trovi le notizie, le verifichi e le pubblichi. Il problema sorge proprio all’inizio: “Trovi le notizie”. Qui non è stato trovato un bel nulla, una manina ha passato delle carte da organizzare nella maniera più opportuna. Un vezzo o un vizio assai ricorrente in Italia, dove gli “scoop” avvengono perché qualcuno – che non è il giornalista – lo decide. Accade nei palazzi di giustizia dove i magistrati e gli avvocati spifferano ai cronisti amici l’esistenza di un’inchiesta; succede nei palazzi della politica dove c’è sempre qualcuno che parla al momento giusto.
Si obietterà: anche nel caso Watergate, lo scandalo più noto nella storia del giornalismo politico, Bob Woodward e Carl Bernstein avevano una “gola profonda” che li informava. Verissimo, ma il suo ruolo non era centrale e serviva soprattutto a creare un alone di mistero attorno alle indagini – autentiche – comunque condotte dai due cronisti della Washington Post. Nuzzi e Fittipaldi hanno condotto indagini? Hanno incrociato le fonti? Hanno prodotto “notizie” al di là del contenuto delle carte generosamente passate loro? Da quel che è dato leggere sembrerebbe di no. Anzi, hanno accettato di non farsi neppure concorrenza arrivando insieme nelle librerie.
Eppure per un cronista arrivare prima degli altri è un piacere irrinunciabile, spesso si è disposti a correre il rischio di pubblicare notizie inesatte pur di battere tutti sul tempo. Nuzzi e Fittipaldi invece no. In una sorta di patto d’acciaio hanno accettato di far uscire insieme i loro libri, diversi nella forma ma simili nella sostanza, ben sicuri che la grancassa mediatica avrebbe creato sufficiente spazio per la vendita di entrambi i volumi, dei quali è già pronta la traduzione in diecine di lingue.

Occorre fare i complimenti al regista dell’intera operazione che non solo si è preoccupato di procurare i documenti, ma anche di diffonderli nel modo più efficace per i propri scopi, collocando al centro della sceneggiatura due protagonisti di prim’ordine che recitano alla perfezione la loro parte di cronisti integerrimi, devoti soltanto alla dea informazione.Solo che quando si parla di informazione bisogna stare attenti. Perché l’informazione è solo una comunicazione messa in una data forma. Le caratteristiche di quella giornalistica sono due: il rapporto con l’attualità e l’apporto critico (nel senso kantiano del termine) dell’autore. Nel caso dei due volumi ci sono elementi di attualità, ma forse difetta l’apporto critico, di valutazione. È giornalismo allora?
Domanda delicata cui si potrebbe rispondere con i fatti. Che raccontano di una accesa rivalità – percepibile anche in tv e sui giornali – fra gli autori del presunto scoop e il fitto gruppo di “vaticanisti”, cioè dei giornalisti che ogni giorno, e in molti casi da decenni, seguono le vicende all’interno dei Sacri Palazzi. Ciò che costoro sostengono è proprio questo: l’assenza di valutazione critica, di contestualizzazione dei documenti pubblicati. Esattamente come accade quando si diffondono le intercettazioni di un’inchiesta giudiziaria e si riportano – con “assoluta fedeltà” – tutti quei particolari morbosi che non dicono nulla sulla reale consistenza dell’inchiesta, ma che regalano notorietà (nella società mediatica equivale a credibilità e prestigio) a coloro che l’hanno messa in piedi e che poi hanno passato la notizia ai giornalisti. Anche nella cronaca giudiziaria le intercettazioni sono spesso pubblicate contemporaneamente da due giornali concorrenti.

Fonte: Sir
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