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Un progetto CEI per aiutare i giovani a non migrare dall'Etiopia

Il Comitato Cei per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo si è riunito nei giorni scorsi a Roma ed ha approvato lo stanziamento di oltre 13 milioni di Euro per un totale di 125 progetti in Africa, Asia, America Latina e Medio Oriente. Sono fondi dell’8xmille. Tra i progetti approvati, una campagna di sensibilizzazione promossa dal Vides (Salesiani) in Etiopia.

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Un progetto CEI per aiutare i giovani a non migrare dall'Etiopia

“Uomini non schiavi: stop al traffico di essere umani”. Partirà con questo slogan in tutto il territorio nazionale dell’Etiopia una campagna di informazione e sensibilizzazione per rendere consapevoli giovani e donne dei rischi e dei pericoli che corrono sulle rotte migratorie. A promuovere il progetto è il Vides, Volontariato Internazionale Donna Educazione Sviluppo, associazione voluta dalle Figlie di Maria Ausiliatrice o Salesiane di Don Bosco. Ma a renderlo possibile saranno ancora una volta i fondi dell’8xmille destinati dai contribuenti italiani alla Chiesa italiana che ha, nell’aiuto al Terzo Mondo, uno dei settori privilegiati a cui indirizzare i contributi ricevuti.  La campagna è uno dei 125 progetti che hanno ottenuto l’ok dal Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo. Nella riunione del 23 e 24 ottobre il Comitato ha dato via libera a uno stanziamento complessivo di altri 13 milioni di euro per progetti in Africa, America Latina, Asia e Medio Oriente.

Un milione in fuga dall’Etiopia. Secondo i dati dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), per il 2015, sono quasi un milione i giovani etiopi che stanno espatriando illegalmente dal paese. L’Etiopia è il secondo paese più popoloso dell’Africa, dopo la Nigeria, con 95 milioni di abitanti e ha un tasso di fertilità molto alto. Sono giovanissimi i ragazzi che decidono di partire. L’età media è tra i 14 e i 25 anni

Tre sono le rotte che intraprendono. La prima è quella mediorientale che rimane ancora la meta più ambita ed è quella seguita soprattutto dalle donne. E cioè Emirati Arabi, Libano e Arabia Saudita. La seconda meta è il Sud Africa e la terza, quella meno battuta ma sicuramente la più pericolosa, è quella per l’Europa attraverso il Sudan e la Libia. Dietro i viaggi, come sempre, ci sono vere e proprie agenzie, mascherate dietro la legalità delle agenzie di viaggi e di collocamento di lavoro. Tutto è pulito e tutto è legale. Solo all’inizio, però, perché dopo si rivelano essere vere e proprie trappole criminali e talvolta mortali.

Le tre rotte. La rotta più frequentata in particolare dalle donne è quella verso i Paesi arabi. Il contratto di lavoro offerto soprattutto in ambito di cura domestica è di 6 ore, ma poi si traduce in un’occupazione full time. L’ingaggio è “a chiamata”, non esiste cioè nessun tipo di contratto e protezione. E quando la donna perde il lavoro e si ritrova in mezzo ad una strada, spesso l’unica via di uscita e sopravvivenza è la prostituzione che a Dubai soprattutto può contare su un mercato fiorente. Le rotte dei maschi sono invece indirizzate verso il Sud Africa e l’Europa. I prezzi sono altissimi: un viaggio per l’Europa può arrivare a costare anche 1o mila dollari che spesso vuol dire l’indebitamente addirittura di un intero villaggio. All’inizio non ti dicono niente e ti fanno pagare una sciocchezza, anche 200 dollari. Poi cominciano a chiedere i soldi e se non li ottengono possono spingersi al punto di ammazzare tutti. Sono tantissimi i ragazzi uccisi o lasciati morire nel deserto della Libia senza acqua e cibo.

La campagna di sensibilizzazione durerà due anni e punta a raggiungere il maggior numero di persone e si avvarrà di tutti i media: dagli spot televisivi e radiofonici a un sito internet, dai cartelloni stradali agli incontri e alle conferenze sul tema. Sarà diffusa nelle lingue locali del Paese. A prendere la parola saranno quegli uomini e quelle donne che hanno vissuto l’esperienza drammatica della migrazione e che sono tornati indietro. Saranno loro i testimonial più credibili. Il programma dei salesiani prevede anche una fase di studio e analisi dei gruppi più vulnerabili e dei bisogni che spingono le persone a lasciare la propria terra. Perché in una fase successiva, il programma mirerà a dare una risposta attraverso percorsi di formazione professionale e di avviamento al lavoro. La migrazione è un fenomeno impossibile da fermare. Ma il progetto delle suore salesiane – spiega Antonio Raimondi del Vides – mira a “rendere consapevole chi parte dei rischi a cui va incontro. Questo è il punto. Non ci illudiamo di frenare con la campagna il flusso migratorio ma di diminuire il numero di chi parte, sì”.

“Nelle case siciliane che abbiamo – spiega suor Giovanna Montagnoli, responsabile per il Vides del progetto – le nostre suore ci raccontano che la maggior parte dei ragazzi non sapeva che cosa avrebbe trovato sia durante il viaggio sia qui in Italia. Le donne arrivano praticamente tutte incinta. Il progetto si ispira al sistema preventivo di don Bosco. Io ti do tutte le possibilità perché tu possa rimanere ma se vuoi partire, sei libero di farlo, consapevole però di ciò che ti aspetta”. “Questo progetto – racconta don Leonardo Di Mauro, direttore del Comitato Cei per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo – ci è sembrato utile per dare una mano alle migrazioni. Perché come ha detto il Papa, lavorare per le migrazioni significa da una parte accogliere e non chiudere la porta a nessuno ma dall’altra significa anche aiutare le persone a stare bene lì dove vivono. C’è un diritto a migrare ma c’è anche un diritto a rimanere. A noi è sembrato che questo progetto potesse essere in linea con l’idea di aiutare queste persone a poter costruire il loro futuro non dovendo lasciare tutto”.

Fonte: Sir
Un progetto CEI per aiutare i giovani a non migrare dall'Etiopia
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