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Se la Brexit non fosse un disastro

In tal caso sarebbe inevitabile un effetto domino.

Se la Brexit non fosse un disastro

Sia detto sommessamente: e se la Brexit – l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea decisa dagli elettori britannici – non provocasse quei disastri di natura economica che sono stati ventilati un po’ da tutti? Se insomma l’addio all’Unione avesse addirittura effetti positivi per l’economia di chi lascia?
Questo sì sarebbe un vero disastro. Ed è questo incubo che affolla le notti dei leader politici più importanti e degli europotenti. Se venisse fuori che il suicidio dell’uscita non si rivelasse tale (sia detto sottovoce: il Pil britannico è in crescita), a quel punto lo tsunami invertirebbe la rotta e, dalle scogliere di Dover, si dirigerebbe verso le coste di Calais. A quel punto – in un’Europa dominata più dagli egoismi e dai nazionalismi che dalla solidarietà comune – più di un membro (ancora) aderente farebbe quattro calcoli per capire cosa gli conviene fare: se la permanenza nell’Unione sia più vantaggiosa o più costosa, al di là degli ideali europei e blablabla.
Il fatto è che, per ora, la sbandieratissima fuga di migliaia di istituzioni finanziarie dalla City di Londra non c’è stata. Anzitutto il voto negativo ha colto tutti di sorpresa e quasi nessuno aveva pronto un piano B. E poi, per andarsene dall’accogliente Londra – vero centro mondiale della finanza – bisogna trovare alternative valide dentro l’Ue. Altrimenti gli svantaggi supererebbero i vantaggi di posizionarsi dentro il mercato unico europeo; e tra l’altro è tutto da verificare se il Regno Unito verrà completamente tagliato fuori dallo stesso.
Ma al di là delle questioni della City londinese, l’unico vero effetto negativo si è registrato nel mercato immobiliare della capitale. Lo stato d’incertezza ha fatto scendere repentinamente i prezzi (altissimi) del mattone. Si tenga anche conto, però, che sulla Manica sono pronti a sbarcare ingenti capitali arabi, cinesi e quant’altro da investire in quella che è considerata una delle capitali più ricche e dinamiche del mondo.
Intanto però la sterlina s’è svalutata nei confronti dell’euro. È vero che per gli “europei” andare oltre Manica è diventato un po’ più caro, ma è anche vero che sono diventate più care tutte le merci esportate in Gran Bretagna, a vantaggio dei produttori locali. E la prima a patirne sarà la Germania, che ha nel Regno Unito uno dei suoi principali clienti: Mercedes e Audi costano di più, così come gli elettrodomestici, i farmaci, l’elettronica avanzata… insomma tutto il made in Germany che viene venduto nel Regno di Elisabetta II. E in realtà pure noi italiani siamo ottimi venditori di made in Italy in quelle terre…
Ma il problema maggiore appare l’effetto-domino che potrebbe innescarsi. L’unico collante appare l’euro, che però non è moneta unica per tutti. La forza politica non c’è, quella militare è stata appaltata alla Nato, non esistono politiche fiscali comuni e figuriamoci quelle economiche. Esiste ancora un travaso di risorse di provenienza tedesca, francese, italiana verso i Paesi più piccoli, soprattutto nel settore agricolo. Ma la grande casa comune assomiglia sempre di più ad un’instabile palafitta che la Brexit rischia di minare.

Fonte: Sir
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