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Questione di immaginazione

Uno studio italiano certifica che il cervello femminile è più incline ad antropomorfizzare oggetti rispetto a quello maschile.

Questione di immaginazione

A chi non è capitato, talvolta, con la propria immaginazione, di intravedere un volto umano, con tanto di occhi, naso e bocca, in un oggetto qualsiasi, magari una nuvola o le morbide pieghe di un tessuto? Di sicuro può accadere. Ma pare che alle donne succeda più spesso che agli uomini.
Così almeno indicano i risultati di uno studio (di recente pubblicato sulla rivista “Social Cognitive and Affective Neuroscience”) realizzato da un gruppo di ricerca dell’Università di Milano-Bicocca, coordinato da Alice Mado Proverbio.
Le femmine, dunque, risultano molto più portate dei maschi ad associare un viso umano ad un oggetto con sembianze facciali, ovvero – detto in parole più tecniche – il cervello femminile è più incline ad antropomorfizzare oggetti rispetto a quello maschile, e ad attivare, di conseguenza, le aree cerebrali legate all’affettività.
Va ricordato che la pareidolia (dal greco èidōlon, “immagine”) è l’illusione che tende a ricondurre oggetti o profili dalla forma casuale a forme note. Si tratta di una tendenza istintiva che ci inclina a trovare forme familiari e strutture ordinate in immagini sconosciute o disordinate. Quest’associazione visiva spesso si traduce in figure e volti umani. Ciò è possibile a causa della particolare sensibilità del nostro cervello, che è in grado di fornire risposte specifiche a categorie semantiche differenti. In questo caso – il riconoscimento dello schema facciale umano -, nel cervello si attivano determinati gruppi di neuroni, in una rapida sequenza di fasi. La prima elaborazione avviene nella parte posteriore del cervello, dopo soli 170 millisecondi: di fronte ad una faccia, la risposta è più intensa; di fronte agli oggetti con sembianze facciali – detti anche Fit (“Faces in things”) – è intermedia; mentre, di fronte ad oggetti qualunque, è più debole.
Secondo lo studio dei ricercatori italiani, in questa fase maschi e femmine rispondono in modo molto simile. Segue poi un secondo stadio, quasi contemporaneo al primo (la velocità è rapidissima: 150-190 millisecondi!), in cui l’informazione viene inviata alle zone anteriori dell’encefalo. Qui, la differenza è netta: le donne evidenziano una risposta molto simile a facce e Fit, attivando il cosiddetto “cervello sociale”, ovvero la parte encefalica con cui ci si relaziona con gli altri (l’emisfero destro, il giro temporale superiore, la corteccia orbito-frontale e cingolata, che delinea un’emozione in ciò che si vede). Ovviamente anche gli uomini sono portati ad identificare immediatamente le facce con le persone; ma, diversamente dalle donne, considerano in modo automatico le Fit come semplici oggetti. Il segnale che arriva dalla parte posteriore del loro cervello, infatti, non supera una certa soglia ed è immediatamente giudicato “insufficiente” per produrre un’antropomorfizzazione di quegli oggetti.
Per realizzare questo studio, il gruppo di ricerca ha analizzato un campione di maschi e femmine, misurando la risposta del loro cervello alla percezione di stimoli visivi legati a quattro categorie di immagini: volti umani, oggetti qualsiasi, oggetti simili a facce e, infine, animali. La sperimentazione è stata effettuata su 26 studenti universitari, 13 maschi e 13 femmine, ai quali è stato detto di premere rapidamente un tasto quando vedevano fotografie di animali (che costituivano il 12% delle immagini mostrate). Le misurazioni di precisione sono state registrate grazie una cuffia iper-tecnologica, con ben 128 elettrodi.
Gli oggetti con sembianze facciali (Fit) da mostrare sono stati selezionati con studi appositi, prendendo in considerazione ben 400 oggetti reali. Un campione formato da dieci studenti, ignari dello scopo della ricerca, doveva stabilire se le immagini mostrate ritraessero visi umani, oggetti che ricordavano volti oppure oggetti privi di qualsiasi relazione con uno schema facciale. Anche in questo caso, le donne hanno trovato “oggetti con un volto umano” molto più spesso degli uomini. Questa fase preliminare allo studio vero e proprio, quindi, è stata considerata come un test ed ha in qualche modo anticipato i risultati della ricerca principale.
“Già in altri studi il cervello femminile aveva evidenziato reazioni più marcate – spiega la professoressa Alice Mado Proverbio – nei confronti di informazioni sociali come il pianto o il riso dei bambini, le espressioni facciali, la mimica corporea e le interazioni sociali, dimostrando un maggiore interesse verso le persone rispetto ad oggetti o paesaggi. In questo studio viene anche svelato il meccanismo con cui il nostro cervello ‘attribuisce un’anima’ ad oggetti altrimenti inerti, ovvero li antropomorfizza conferendo loro motivazioni, emozioni e intenzioni”.

Fonte: Sir
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