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Le dipendenze dai new media

Il direttore di Hope, Marco Brusati, l’Associazione che, tra le sue finalità, ha proprio quella di educare i giovani ad un uso consapevole di internet e smartphone, parla di questo fenomeno in costante crescita

Parole chiave: hope (7), dipendenza da internet (1), new media (2)
Le dipendenze dai new media

Lo scorso anno ha fatto scalpore Web Junkie, il documentario cinese che racconta il programma di recupero degli adolescenti affetti da dipendenza da internet, che il Paese asiatico, primo fra tutti, ha etichettato come disordine clinico. Nel documentario viene mostrato come i ragazzi sono deprogrammati attraverso la focalizzazione dell’attenzione sui loro coetanei, i loro genitori e gli operatori sanitari determinati a cambiare le loro abitudini.

Anche negli Stati Uniti i dati non sono confortanti: secondo l’Accademia Americana dei Pedriatri (A.A.P.) un bambino tra gli 8 e i 10 anni passa quasi 8 ore al giorno davanti a computer e televisione, mentre per gli adolescenti le ore sono 11: il che significa che a 7 anni i bambini hanno già trascorso un anno davanti a uno schermo. È arrivato il tempo di aprire cliniche come quella cinese anche in Italia?  Lo abbiamo chiesto a Marco Brusati, direttore di Hope, l’Associazione che, tra le sue finalità, ha proprio quella di educare i giovani ad un uso consapevole dei new media.

“Nei numerosi incontri di formazione per genitori, insegnati, sacerdoti, il dato più sorprendente che emerge è la poca consapevolezza dello strumento che si mette in mano ai figli: il problema non è il computer, che può essere messo in un luogo condiviso della casa, ma lo smarthphone, che non è un telefonino e non può essere utilizzato da un bambino di 8 anni, perché gli si mette in mano un mondo da cui gli educatori sono tenuti scientemente fuori; oltre il 70% degli adolescenti scarica contenuti web dallo smarthphone e lo fanno nel buio e nella solitudine delle loro stanze, spesso togliendo tempo al sonno; il segnale che il comportamento da problematico sta diventando patologico è quanto si cerca la relazione virtuale con i coetanei invece di cercarla nella vita reale. A questo punto, credo che i lavori di prevenzione e di educazione all’utilizzo consapevole possano considerarsi, se non falliti, quantomeno superati e diventa necessaria un’azione di recupero, nello stile delle numerose comunità nate in passato per aiutare i giovani ad uscire dalle diverse dipendenze. Posso raccontare un breve aneddoto: cinque anni fa venni chiamato da un ordine religioso femminile che desiderava formare le giovani suore a conoscere il mondo mass-mediale, entro il quale sarebbero state chiamate ad operare; ricordo che suggerii di dedicare una parte delle loro risorse pastorali ad aprire una casa di recupero per internet-dipendenti che, di lì a poco sarebbero stati molti. Mi guardarono spaesate, ma, se lo dicessi oggi, sono certo che ne capirebbero la necessità”.

“Infine – prosegue Brusati- posso dire che parole-chiave siano queste: formazione, prevenzione e, quando arriviamo tardi, recupero e rieducazione. Auspico che, nel riorientamento pastorale che stanno portando avanti numerosi ordini religiosi si possano aprire anche iniziative il recupero da dipendenza da internet, che porta tanti adolescenti e giovani in periferie esistenziali da dove il mondo dell’educazione è assente”.

Fonte: Comunicato stampa
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