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L'Ue dopo Roma: solidale e concreta

Il contenuto e i quattro capitoli della "Dichiarazione" firmata in Campidoglio il 25 marzo dai leader europei lasciano intravvedere una rinnovata volontà politica di procedere "insieme". Ora l'Ue passa alla prova dei fatti

L'Ue dopo Roma: solidale e concreta

“L’Europa è il nostro futuro comune”: si potrebbe partire dall’ultima riga per chiarire il senso, e il valore, della “Dichiarazione di Roma”, firmata il 25 marzo in Campidoglio dai leader dei 27 Stati membri e dai rappresentanti del Consiglio, del Parlamento e della Commissione europea, convenuti per le celebrazioni del 60° dei Trattati posti a fondamenta della “casa comune”.
Il futuro è “insieme” perché “l’Unione europea è confrontata a sfide senza precedenti, sia a livello mondiale che al suo interno: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche”. Insieme si possono “affrontare le sfide di un mondo in rapido mutamento” per “offrire ai nostri cittadini sicurezza e nuove opportunità”.
Da Roma i leader politici sono ripartiti, dunque, con una nuova promessa di azione comune per il bene dei cittadini. Ora la promessa va mantenuta, giorno per giorno, con scelte conseguenti, che provino a far collimare gli interessi di tutti senza mortificare le diversità che caratterizzano il continente.
La Dichiarazione sancisce fra l’altro l’uscita del Regno Unito: il divorzio, tramite Brexit, non è ancora compiuto e già l’Ue guarda avanti facendo a meno di chi ha scelto un’altra strada. La storia europea non si ferma – è questo il messaggio – senza Londra.
Il testo della Dichiarazione è, questo lo si è capito, frutto di un “compromesso”. Si è cercato un nuovo punto di equilibrio tra gli interessi dei 27, pur tenendo aperta la porta all’Europa a più velocità: “Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione”.
Il documento segnala, quindi, altri punti imprescindibili: al cuore del progetto comunitario vengono posti i cittadini dell’Unione; l’Ue resta aperta a nuove adesioni, a “quei Paesi che rispettano i nostri valori e si impegnano a promuoverli”.
Quindi i quattro “capitoli” che corrispondono ad altrettanti impegni da realizzare, pena l’inefficacia e l’irrilevanza dell’Ue.
Primo: l’Europa sicura, ovvero “una Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile”; “un’Europa determinata a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata”.
Secondo: un’Europa “prospera e sostenibile”, che “generi crescita e occupazione”, con un mercato unico forte, “connesso e in espansione”, fondato sulla moneta unica, le nuove tecnologie, capace di rispettare l’ambiente.
Terzo: un’Europa “sociale”, che ambisca a favorire, anche tramite il progresso economico, lo sviluppo, la coesione, l’integrazione, la parità tra donne e uomini e “diritti per tutti”.
Quarto, ma non ultimo, una Ue più forte sulla scena mondiale, elemento di pace e stabilità al di là dei suoi confini, con un occhio di riguardo per la vicina Africa.
La concretezza e l’azione comune nel segno della solidarietà divengono, così, nella Dichiarazione di Roma, il filo rosso che lega valori (antichi) e obiettivi (rinnovati) dell’Ue pensata e costruita a partire dal secondo dopoguerra. Nulla di nuovo, in realtà, sotto il sole di Roma. Un’altra “dichiarazione”, quella di Robert Schuman del 9 maggio 1950, considerata la pietra miliare dell’integrazione comunitaria, infatti affermava: “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Si torna alle radici, per ripartire.

Fonte: Sir
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