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In Congo la Caritas è al fianco delle donne dopo la violenza

Le stime più diffuse parlano di un numero di vittime compreso tra 200 e 500mila in vent’anni e secondo altri dati, riportati dalla svizzera Fondation Hirondelle, il 12% delle donne dell’area attraversata dalla guerra avrebbe subito violenza almeno una volta nella propria vita. Il governo di Kinshasa ha spesso definito esagerate queste cifre, ma un’indagine promossa dalle stesse autorità ha comunque registrato oltre 3mila casi simili nel 2014 e più di 2.400 lo scorso anno. Ancora oggi, le nuove vittime sono circa 7 al giorno: ad affermarlo di recente è stato Denis Mukwege, il ginecologo che dal 1999 nell’ospedale Panzi della città di Bukavu si impegna a curare queste donne.

In Congo la Caritas è al fianco delle donne dopo la violenza

Si può ricominciare anche da una cesta di pesci. Come quelle che, ogni giorno, arrivano al mercato di Rubare, una cittadina del Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo. A rifornire i negozianti del luogo è una cooperativa formata da donne, una cinquantina, che grazie a questo lavoro sono riuscite a ricostruirsi una vita dopo aver subito una violenza sessuale. Quella degli abusi, però, è stata un’esperienza che molte altre congolesi hanno dovuto affrontare nei vent’anni passati dall’inizio del conflitto nell’est del Paese africano. Le stime più diffuse parlano di un numero di vittime compreso tra 200 e 500mila in vent’anni e secondo altri dati, riportati dalla svizzera Fondation Hirondelle, il 12% delle donne dell’area attraversata dalla guerra avrebbe subito violenza almeno una volta nella propria vita. Il governo di Kinshasa ha spesso definito esagerate queste cifre, ma un’indagine promossa dalle stesse autorità ha comunque registrato oltre 3mila casi simili nel 2014 e più di 2.400 lo scorso anno. Ancora oggi, le nuove vittime sono circa 7 al giorno: ad affermarlo di recente è stato Denis Mukwege, il ginecologo che dal 1999 nell’ospedale Panzi della città di Bukavu si impegna a curare queste donne ed è stato perciò candidato anche al Nobel per la Pace.

Impunità diffusa. Proprio Mukwege, lo scorso 8 marzo, ha presentato al Consiglio Onu per i diritti umani di Ginevra una petizione, firmata da circa 200 organizzazioni congolesi ed estere, in cui si chiede la fine dell’impunità per i responsabili delle violenze e l’istituzione di un tribunale internazionale per giudicare questo e altri crimini di guerra, dando seguito a una promessa mai mantenuta dalle autorità. Al momento, infatti, nonostante le leggi in vigore prevedano per lo stupro una pena da 5 a 20 anni, non è raro che alcuni condannati finiscano per scontare solo pochi mesi. “Sarebbe importante per una donna vedere che chi l’ha violentata viene arrestato, mentre spesso incontra il suo aguzzino che gira liberamente in strada e ne ha paura: se non ci fosse impunità, la reintegrazione delle donne nella società risulterebbe molto più facile”, conferma anche Taylor Toeka, della Caritas di Goma. L’organizzazione cattolica si occupa da anni dell’assistenza alle vittime e anche dei progetti che, come quello di acquacoltura a Rubare, permettono loro di tornare ad avere un ruolo in una società che spesso dopo lo stupro le ha emarginate. Molte, addirittura, non sono potute tornare a vivere con i propri parenti. “Ma una donna rifiutata dal marito o dalla famiglia diventa più vulnerabile, perché si sente colpevole di ciò che le è successo – prosegue Toeka -. Dopo essere stata vittima di violenza lo diventa della discriminazione: l’autonomia, quindi, è una condizione indispensabile del suo recupero”.

Sviluppo locale. La questione non è semplicemente fornire assistenza, con cibo e altri generi di prima necessità, come pure è avvenuto in passato “perché così si crea una dipendenza perenne dagli aiuti”, spiega l’operatore della Caritas. Si tenta, piuttosto, di mettere a frutto le competenze di queste donne, fornendo le risorse finanziarie iniziali e la formazione necessaria. Un caso emblematico è quello di Rachel, una madre di quattro figli che in seguito alla violenza subita aveva contratto l’Aids. Dopo un percorso in cui ha affrontato anche le conseguenze sanitarie e psicologiche dello stupro, oggi è riuscita ad aprire una piccola attività di artigianato, contribuendo allo sviluppo della comunità locale. Non sempre, però, il percorso è facile: il reinserimento sociale dura mesi, se non anni, e le ostilità ancora in corso fanno sì che alcune donne possano subire, nel tempo, più di una violenza. È per questo che, presentando la petizione a Ginevra, lo stesso dottor Mukwege ha definito il fenomeno “una metastasi nella nostra società”. Ad aggravare la situazione è il coinvolgimento, oltre che delle numerose milizie ribelli, anche delle truppe regolari, i cui alti ufficiali, secondo varie denunce, si sono spesso fatti scudo del loro grado per evitare il processo. “Le istituzioni internazionali devono fare pressioni su quelle congolesi – esorta quindi anche Taylor Toeka – e i donatori internazionali, tra cui l’Unione europea, potrebbero legare la concessione di aiuti al governo alla lotta all’impunità”.

Fonte: Sir
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