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Il welfare aziendale cresce

Molto dipende dalle dimensioni dell’impresa. Serve un salto culturale.

Parole chiave: welfare aziendale (1), agensir (678)
Il welfare aziendale cresce

Le aziende iniziano a scoprire la cultura della responsabilità sociale di impresa come risorsa per incentivare il lavoro dei dipendenti e coinvolgerli nei processi produttivi. Nel campo uno dei settori in maggiore espansione è il welfare aziendale. Un modo per supportare con servizi diretti o indiretti alcuni bisogni dei lavoratori e allo stesso tempo andare loro incontro, sostengono i manager che hanno attivato iniziative simili; un modo per costruire reti tra soggetti diversi: assicurazioni, centri di salute; enti di formazione, imprese, istituzioni pubbliche del territorio.
Per iniziare a misurare le difficoltà del fenomeno è stato elaborato l’indice di welfare per le piccole e medie imprese per poi testarlo in una ricerca in cui sono state coinvolte 2140 aziende, con la partecipazione di Confindustria e Confagricoltura. Si sono misurati i contenuti e l’ampiezza delle iniziative, le modalità di coinvolgimento dei lavoratori, la peculiarità dei singoli interventi. Da questo primo rapporto emerge un quadro composito che vede anche la differente predisposizione delle imprese al cambiamento. Uno dei primi criteri per valutare la presenza di iniziative di welfare aziendale è inversamente proporzionale alla dimensione dell’azienda: più sarà piccola, più sarà difficile trovarne. Ci sono segnali di un cambio culturale.
La ricerca individua quattro categorie di intervento: una tocca il campo della previdenza integrativa, che coinvolge il 40,4% delle aziende coinvolte nella ricerca, della salute, che ne coinvolge il 38,8% e delle assicurazioni per i dipendenti; una seconda categoria riguarda le iniziative sulla formazione per i dipendenti, che coinvolge il 64,1% delle imprese, e sulla sicurezza e prevenzione, il 38%; una terza categoria conta al suo interno iniziative a sostegno dei genitori, che vede impegnate il 18,5% delle aziende, e a supporto della conciliazione dei tempi di vita, che ne impegna il 4,9%; l’ultima categoria comprende il sostegno e l’integrazione sociale di soggetti deboli e iniziative di welfare allargate al territorio, che coinvolge rispettivamente il 14,1% e il 15% delle aziende.
Va osservata una differenza qualitativa tra le azioni che svela anche un differente bagaglio di risorse culturali o tecniche presenti nelle imprese: infatti le prime due categorie raccolgono interventi più semplici, perché mirano da una parte all’esternalizzazione di alcuni servizi, che spesso possono fare altri soggetti del mercato oppure servono a migliorare direttamente la qualità del lavoro. Invece le seconde due categorie raccolgono interventi più complessi perché prevedono una maggiore apertura al territorio e ad altri attori presenti, perché richiedono la disponibilità a rivedere le organizzazioni e i processi lavorativi interni e, infine, perché guardano al lavoratore nella sua totalità di persona e non solo come dipendente. Quindi hanno bisogno di un salto di qualità culturale perché la loro efficacia sia compresa. Le ultime però sono anche la nuova frontiera della responsabilità sociale di impresa.

Fonte: Sir
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