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Don Evandro, nel paese di don Camillo

Don Evandro Gherardi è  parroco di Brescello la cittadina nel cuore dell’Emilia che conquista chiunque la visiti per l’accoglienza della gente divenuta tra l’altro famosissima grazie ai film di don Camillo e Peppone

Don Evandro, nel paese di don Camillo

Don Evandro Gherardi, è sacerdote della diocesi di Reggio Emilia da 21 anni e parroco di Brescello da ben sette anni. Cresciuto in una famiglia atea e di sinistra, fu battezzato, frequentò il catechismo e coltivò fin dall’età di dieci anni il sogno di diventare prete, ma senza mai dirlo ai suoi genitori. Solo all’età di 37 anni arriva la scelta di entrare in seminario, divenendo il parroco di Brescello. Una cittadina nel cuore dell’Emilia che conquista chiunque la visiti per l’accoglienza della gente divenuta tra l’altro famosissima grazie ai film di don Camillo e Peppone.

brescello

Don Evandro cosa significa essere parroco del paese di don Camillo?
Equivale ad un grosso impegno ed una grande responsabilità. Il parroco di Brescello è conosciuto in tutto il mondo come successore di don Camillo. Mi capita spesso quando sono in giro di presentarmi come parroco di Brescello e tutti mi riconoscono non tanto come persona ma nel ruolo di parroco. Quindi da un lato fa piacere dall’altro richiama a delle grosse responsabilità, soprattutto verso chi viene a Brescello da fuori città in visita non solo per turismo ma anche come pellegrinaggio. Sono delle attese che sicuramente dal punto di vista della fede, della pastorale, vanno soddisfatte. Essere parroco del paese di don Camillo dunque per me è bello e allo stesso tempo impegnativo.
Perché don Camillo è ancora così tanto amato?
Secondo me perché è visto come una persona autentica, una persona che lotta per i propri ideali, che si impegna a favore della sua gente e che alla fine dà anche una testimonianza forte di fede. Un tipo molto irascibile ed impulsivo che però alla fine nel suo rapporto con il Signore, soprattutto nel dialogo con Cristo Crocifisso, si è fatto sottomettere dalla volontà di Dio affinché sia un vero parroco e sacerdote, pastore della Sorgente.
Cosa la colpisce di più della figura di questo prete burbero ma buono?
Sicuramente la sfida continua fatta di scontro ma anche di collaborazione con il sindaco Peppone, in realtà alla fine lottano per lo stesso obiettivo che è il bene della propria gente, questo mi impressiona molto. Pur esistendo una contrapposizione ideologica don Camillo voleva bene a tutta la sua gente, anche a quella che non frequentava la chiesa. Questo per me ancora oggi è uno spaccato molto importante, essere il parroco di tutti, voler bene a tutti e aiutare tutti al di là di una fede praticata o meno è costruttivo per ognuno di noi. Alla fine anche i comunisti avevano una idea di Dio, in Lui ci credevano. Quindi evangelizzare un Dio che vuole bene all’uomo credo che sia importante manifestarlo anche con i fatti concreti, con la disponibilità, l’attenzione e l’ascolto. La scena del film che più mi ha colpito è quella in cui don Camillo dopo essersi rifiutato, accetta di suonare le campane della chiesa al funerale di un comunista morto: “Gesù gli dice, non perderti in chiacchiere altrimenti perdi tempo per suonare le campane. Questo significa che in ogni uomo c’è qualcosa di Dio, anche in chi non crede, e il compito dei cristiani non è fare divisioni, ma riconoscere questo tratto comune di tutti gli uomini”.
Cosa possono dire i personaggi del Guareschi a quanti servono ancora in trincea i comuni e le parrocchie?
Per fortuna oggi non c’è più questa contrapposizione ideologica, i tempi sono cambiati, a quei tempi per gli ideali si lottava gli uni contro gli altri, oggi c’è l’indifferenza che a mio parere è molto peggio. Questo fa un po’ paura. Oggi è importante sottolineare la collaborazione tra Chiesa e potere civile, amministrativo e politico, per far sì che le comunità vivano in condizioni migliori, risolvendo insieme, amministrazione e parrocchia, i problemi della gente. Credo che questa collaborazione che c’era tra don Camillo e Peppone, sia più che mai attuale e che abbia molto valore.
Il fatto che don Camillo parlava con il Crocifisso può essere un invito per tanti sacerdoti a tornare “a parlare” un po’ di più con il Signore?
Sicuramente è uno stimolo per tutti i sacerdoti, questo vale anche per me. Avere in Chiesa il Crocifisso parlante mi aiuta a dialogare col Signore molto di più, però poi ci sono anche altri modi per dialogare con Lui che non sempre avviene in luoghi visibili e concreti, ma è possibile in tutte le situazioni anche in dialogo e in ascolto con le persone, in tutti gli ambienti. Oggi è importante per noi sacerdoti riprendere un dialogo con Dio, se questo un po’ viene a mancare. È difficile giudicare, tante volte nelle mie giornate invoco il Signore, mi affido a Lui e non avviene soltanto mettendomi in ginocchio in Chiesa davanti a Lui. È fondamentale vivere sempre alla presenza di Dio. Anche la preghiera tra la gente è una bella testimonianza.
Come parroco di Brescello don Camillo le ha lasciato davvero una bella eredità … La mia storia mia aiuta molto in questo ruolo. Sono nato in una famiglia atea, comunista, quindi ho conosciuto l’ambiente ideologico di questi politici, i problemi che c’erano con la Chiesa, ma il buon Dio si è divertito a chiamarmi ugualmente sacerdote. Questa conoscenza dell’altro mondo mi permette forse di capire tante cose e di capire di più le persone. Mai avevo immaginato di fare il parroco a Brescello e diventare l’attuale don Camillo, ma è il disegno di Dio, che mi fa capire di vivere il sacerdozio per il bene della Chiesa e le persone che mi sono state affidate.

Cosa si augura per la sua comunità?
Mi auguro di vedere sempre una comunità unita, pronta a superare eventuali differenze. Unità non solo all’interno della parrocchia ma anche della comunità civile. Bisogna lavorare insieme per il bene del paese, di Brescello, per rendere migliore la gente, per essere più accoglienti, per costruire la città dell’amore che come cristiani ci vede tutti impegnati. L’auspicio che faccio alla mia comunità si può racchiudere in queste tre parole: servizio, impegno e donazione.
In un film di don Camillo appare sulla parete della canonica il quadro di San Francesco di Paola, nostro patrono. Un quadro appeso lì per devozione o per la presenza di molti calabresi nella zona della Padania?
Il quadro di San Francesco di Paola non è nella nostra chiesa e tantomeno in canonica. Credo che sia una casualità. I primi due film di don Camillo non sono stati girati all’interno della chiesa di Brescello, ma a Cinecittà, pertanto il quadro credo che faceva parte di una scenografia realizzata a Cinecittà o in un altro ambiente ma non a Brescello. Per quanto riguarda la comunità dei calabresi a Brescello ce ne sono, e provengono da Isola Capo Rizzuto dove sono molto devoti alla Madonna di Capocolonna.

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