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"Il cuore in una goccia"..per amare la vita

Il professor Noia racconta del suo impegno con la fondazione che egli stesso ha voluto. A Cosenza una due giorni all'insegna delle twstimonianze per la vita. Il ricordo di Madre Teresa di Calcutta e quello di Mamma Natuzza.

"Il cuore in una goccia"..per amare la vita

Due giorni di formazione e testimonianza a Cosenza per diffondere un’ autentica cultura della vita e dell’accoglienza. Sabato 24 ottobre si è svolto, presso il Centro Congressi Parco degli Enotri a Mendicino, un convegno dal titolo: “L’Hospice Perinatale: una risposta etica, scientifica ed umana alla diagnosi prenatale”. Il convegno medico-scientifico, al quale hanno partecipato medici, infermieri, ostetriche, psicologi e psicoterapeuti, è stato pensato per la prossima inaugurazione dell’hospice perinatale presso l’Ospedale Civile di Cosenza. Mons. Nolè, si è recato presso la sede del convegno ed ha rivolto il suo saluto a tutti i partecipanti. Numerosi i medici intervenuti, tra questi il Prof. Giuseppe Noia, ginecologo presso il Policlinico Gemelli di Roma, medico di fama internazionale e responsabile scientifico del convegno. Domenica 25 ottobre, invece, è stata celebrata, presso la sala convegni dell’Hotel San Francesco di Rende, la Prima Giornata della Gioia. In questa occasione è stata presentata la fondazione “Il Cuore in una Goccia”, che si impegna a sostenere le donne in gravidanza e non, e si propone di diffondere una cultura scientifica e testimoniale, promuovendo iniziative di servizio, formazione, ricerca e diffusione di una cultura preconcezionale, prenatale e postnatale che tuteli la vita e la salute della madre e del bambino attraverso tre step: prevenzione, terapia e accompagnamento. I fondatori sono i coniugi Giuseppe ed Anna Luisa Noia ed Angela Bozzo. La fondazione è dedicata alla figura di Margherita e Attilio Noia, genitori di Giuseppe Noia, “fulgidi esempi di altruismo,fede, generosità e laboriosità”, come recita l’atto costitutivo. Al Prof. Noia è affidato il braccio operativo medico- scientifico della fondazione, alla Sig.ra Anna Luisa La Teano Noia quello familiare- testimoniale e alla Sig.ra Angela Bozzo quello spirituale. La Giornata della Gioia si è svolta in tre fasi: una prima di preghiera e di riflessione, in particolare sulle parabole del Padre Misericordioso e del Buon Samaritano e sulla figura del Cireneo, una seconda di presentazione della fondazione e una terza testimoniale, durante la quale, dopo il racconto dell’esperienza di conversione da parte di Beatrice Fazi, nota attrice italiana, molte famiglie che hanno accolto, sin dalla fase prenatale, un bambino con gravi problemi di salute hanno condiviso la loro storia.

Abbiamo intervistato il Prof. Giuseppe Noia, per conoscere meglio la fondazione e la sua missione:

Prof. Noia da cosa nasce e a chi si rivolge la fondazione” Il cuore in una goccia”?

La fondazione nasce con l’intento di voler offrire un servizio quanto più ampio, in tutta Italia, alle famiglie che si confrontano con gravi patologie fetali o situazioni materne piene di sofferenza. Ho voluto tradurre in questo servizio i trenta anni di lavoro che ho svolto al Gemelli a difesa della vita nascente utilizzando scienza, etica, condivisione ed umanità. Questi sono gli elementi che hanno spinto me e mia moglie, Anna Luisa, a creare questa fondazione per rendere la scienza prenatale  -che diventa ultramoderna in quanto fatta spesso di tecniche per curare il bambino in utero-  fruibile, ma anche per combattere quello che viene chiamato l’aborto da “ignoranza”, soprattutto l’aborto eugenetico. Questo tipo di  aborto spesso viene eseguito perché non si conosce la storia naturale di tante situazioni che si possono curare. La fondazione vuole combattere l’incapacità di prevenire  tante situazioni di questo tipo e diffondere così una cultura in cui l’affettività e la sessualità siano degne della preziosità della vita umana. L’obiettivo è quello di inserire questi valori in un contesto relazionale che porti i giovani a capire quanto è bello dare la vita in un rapporto affettivo sano, pieno di responsabilità sì, ma anche pieno di gioia. La fondazione nasce anche dal fatto che molte famiglie, con esperienze varie, non avevano trovato una collocazione per il loro cammino testimoniale. Abbiamo creato  “una casa” dove possano, insieme al braccio della scienza, portare questa parola di vita, questo vangelo della vita: ovvero che si può accogliere un bambino anche non potendolo curare, lo si può amare , lo si può accompagnare perché è figlio e perché è un dono di Dio.  In più i miei genitori mi avevano lasciato una somma di denaro per fare qualcosa che rimanesse nel tempo e che portasse il loro ricordo; affinchè io potessi attuare quella missione per la quale mi hanno sempre visto lavorare. Il tutto è avvenuto grazie anche alla conoscenza e alla collaborazione delle suore missionarie della carità di Madre Teresa , sotto la guida di Don Giuseppe De Santis, che è stato il prete diocesano che ha guidato me e mia moglie per ben trenta anni, e grazie a tutte le conoscenze di santi e figure buone che ci hanno alimentato nella fede e nella testimonianza, come Natuzza Evolo alla quale siamo particolarmente legati.

Quali gli impegni principali della fondazione?

I tre impegni della fondazione sono nel mondo del preconcezionale, nel mondo del prenatale e nel mondo del postnatale. Ci vogliamo occupare anche di tutte quelle famiglie che hanno perso il loro bambino e  vivono nella solitudine, nell’angoscia e nella disperazione. Vogliamo spezzare questa solitudine. Essere cirenei con chi accolto con tanto amore un bambino che aveva gravi problemi e che poi è deceduto significa  andare a fare compagnia a Gesù nel Getsemani. Abbiamo attuato un impegno che potesse diffondere una cultura del prevenire, una cultura del curare anche con cure palliative. Una cultura che nella scienza, ovvero durante il percorso prenatale,  cura e, lì dove non è possibile curare, allevia il dolore – come abbiamo detto ieri al convegno – cioè cerchiamo attraverso cure palliative di non far sentire dolore al bambino che poi morirà. Il primo braccio operativo della fondazione è quello medico- scientifico, il secondo è quello familiare- testimoniale e il terzo è quello della fede. Noi crediamo fermamente che Dio non mortifica l’uomo ma ne esalta l’intelligenza e la ragione. Ci sono due fondamenti importanti però da rispettare: la preghiera e l’amore di Dio. Mentre io eseguo degli interventi molto pericolosi per il bambino in utero, infatti, c’è qualcuno che prega – come è avvenuto sempre in questi anni-  affinchè Dio illumini la mia mente, guidi le mie mani , affinchè Lui che è la fonte della vita possa essere lodato con quello intervento. Ecco perché il terzo braccio nel nostro logo è rappresentato dal cerchio più ampio che si forma dalla goccia che impatta nel mare della vita: perchè abbraccia persone che o singolarmente o insieme ad altri sentono la verità dell’impegno di Dio verso di noi. Forti della certezza che Dio ama coloro che difendono la vita perché Lui è la fonte della vita, nello statuto abbiamo voluto che il terzo braccio fosse quello della fede. Quindi scienza, famiglia e fede come tre sono i campi d’intervento: preconcezionale, prenatale e postnatale. Non abbiamo la pretesa di cambiare il mondo, però vogliamo essere delle gocce, come diceva Madre Teresa: “Metti la tua goccia e arriverai all’oceano di Dio”. La goccia, poi, è umile, è una cosa piccola, però se noi la mettiamo con il cuore all’interno, cioè con tutto l’amore possibile, realizziamo quello che hanno detto i Santi. “Non voglio fare cose straordinarie - diceva Santa Teresina- ma voglio fare straordinariamente bene le piccole cose di ogni giorno”. Ecco per la nostra vita questo è il tracciato! Non c’è esaltazione, c’è solo il desiderio di servire l’uomo perché come diceva Sant’Ireneo la Gloria di Dio è l’uomo vivente.

Oggi , nella sua Calabria, ha voluto festeggiare la I giornata della Gioia. Cosa è per lei la gioia e come può un medico, che spesso si scontra con il senso del limite e la sofferenza, comunicarla ai propri pazienti?

 La gioia nasce dal vivere con Dio, perché Dio è sì fonte della vita ma è anche fonte della gioia. E poi scaturisce dal fatto che Dio si serve di noi, ci usa come strumenti e noi sentiamo questa degnazione che Dio si china verso di noi. La parola di oggi del Vangelo ci illumina a riguardo, perché Gesù dice al cieco : “Cosa posso fare io per te?”.  Da qui la domanda, cosa posso fare io per gli altri? Venendo in Calabria ho avuto dei colloqui con 4 persone che stanno affrontando gravissime problematiche in gravidanza.

Cosa ha detto a queste madri?

Ho detto solo non siete sole!Dio non lascia solo nessuno, ama tutti come fatto unico e irripetibile. Allora, ritornando alla fonte della gioia, essa nasce dalla constatazione che Dio ci ama e se Dio ci ama non possiamo tenere per noi questo dono ma dobbiamo darlo agli altri soprattutto a coloro che vivono nella sofferenza e nel disagio psicologico. Questo è ciò che faccio con le mie pazienti, le quali percepiscono questa condivisione e sono contente.

E’ imminente l’inaugurazione di un hospice perinatale presso l’Ospedale Civile dell’Annunziata di Cosenza, vuole spiegare ai nostri lettori in cosa consiste e a chi è rivolto?

L’hospice perinatale non è solo un luogo in cui si fanno delle scelte di tipo sanitario e medico, ma è una modalità di accompagnamento dove medici e famiglie fanno mutuo aiuto con altre famiglie, sia che hanno avuto episodi negativi nella loro vita, sia che non li hanno avuti. Essere cirenei gli uni degli altri significa proprio andare ad impegnarsi in situazioni che non ci toccano da vicino perché – come diceva prima mia moglie riprendendo la scrittura – noi crediamo che il fratello vicino al fratello possa diventare una roccia inespugnabile.

In che modo si può diffondere, secondo lei, un’autentica cultura della vita che guardi all’embrione prima e al feto poi come persona?

Si può diffondere facendo un passaggio culturale molto importante: l’informazione deve diventare conoscenza. Se noi la facciamo diventare conoscenza diventa consapevolezza e la consapevolezza crea il senso del valore. Spostiamo un accento ovvero dal sapere al sàpere, cioè assaporare il gusto di accompagnare, difendere e servire il dono della vita.

In base alla sua esperienza, la fede può essere vissuta  anche attraverso l’attività lavorativa o deve rimanere confinata nella vita privata?  In particolare, essere un medico cattolico è per lei una missione o un servizio?

La fede fa parte della persona! Non possiamo dividerci. Sicuramente non possiamo essere neppure fanatici od ostentare la nostra fede e la nostra certezza. Ma io penso che sul luogo di lavoro dobbiamo dimostrarla con molta chiarezza e semplicità , più che con le parole con i fatti. Noi siamo credibili quando facciamo i fatti: attraverso l’interesse alle persone, facendo bene il nostro lavoro. Ma anche attraverso la puntualità, compatendo le difficoltà del prossimo. Dobbiamo essere uomini di pace, cioè aperti a tutte quelle forme di beatitudini evangeliche.

Sappiamo che ha conosciuto di persona Madre Teresa di Calcutta. Quando è avvenuto e qual è il ricordo più bello legato all’incontro con la Beata?

Ho incontrato tante volte Madre Teresa ma il mio cuore l’ha incontrata nel dicembre del 1981, quando venne al Gemelli a prendere la laurea honoris causa e disse: “A voi medici di questo Policlinico dico se c’è una donna che non vuole il proprio bambino, datelo a me,lo prendo io”. Da quel momento ho capito che dovevo fare qualcosa per questa donna eccezionale, è come se quel dito fosse stato puntato verso la mia anima. Ricordo di aver detto a mia madre: “ Io voglio fare qualcosa per questa  donna”. Dopo tre giorni ho visto in ospedale un’altra suorina, Sister Shalom si chiamava, che accompagnava una donna in gravidanza. Incontrandola ho detto: “Cosa sta cercando?” E lei: “Cerco un ginecologo”. E io le ho risposto come Samuele: “Eccomi! Sono il ginecologo che le serve ”. Da lì è iniziata una storia bellissima in cui più di 4500 ragazze madri sono state seguite non solo da me ma da tutto lo staff del Gemelli, ricoverate in day hospital, assistite in ambulatorio, durante il parto e dopo il parto. La cosa più bella è che il Signore ci fa entrare in dei numeri incredibili, che non sono capaci della nostra piccolezza ma che Lui amplifica. Quando ho detto a Madre Teresa: “Madre abbiamo aiutato a far nascere più di 2500 bambini” – era il 25 maggio del 1996-  lei chiese: “Quanti?” E io: “Più di 2500”. “Ne dovete far nascere più di 10000”, ci rispose. E io: “Madre ma lei viaggia sulle vie della santità!” Lei a quel punto mi disse: “Tu pensi sia impossibile?Nulla è impossibile a Dio”. Ho imparato così due lezioni: se il Signore ti ha messo ad operare in questo campo mantieni il tuo posto e non ti inorgoglire, devi fare sempre riferimento a Lui che è la fonte di ogni grazia. La seconda lezione è che se tu hai fiducia non 2500 ma 10000, cioè 5 volte tanto! Madre Teresa è una icona dell’abbandono a Dio, che ha amato nonostante la sua aridità spirituale. Abbiamo saputo dopo che lei, per ben 40 anni, è stata in un’aridità spirituale immensa. Questo ha fatto ingigantire la sua figura. Molto spesso quando siamo portati, anche sentimentalmente, ad avere tutta la gioia è facile, ma credere, andare avanti, amare quando il cuore invece è di pietra, lì c’è un sacrificio, un martirio interiore che connota tutta la capacità di amare Cristo crocifisso.

Accennava prima ad un legame particolare che ha avuto con mamma Natuzza, la mistica di Paravati, vuole raccontarci qualche episodio a tal proposito?

Mi arrivavano persone che non riuscivano ad avere bambini e mi dicevano: “Mi manda mamma Natuzza”. E io chiedevo loro: “Ma chi è Mamma Natuzza?” E mi sentivo rispondere che era una donna che pregava, non mi dicevano le cose straordinarie che viveva. Fin quando nel 1998  fui invitato con il Prof. Angelo Serra a Vibo Valentia ad un convegno medico- scientifico sull’embrione. Conobbi questa donna che mi apparve come una persona molto semplice, troppo semplice , troppo insignificante. Ma proprio questo suo apparire insignificante – come diceva lei: “sono un verme di terra”- nel tempo mi ha mostrato la gigantesca figura di questa umile donna, la quale ad un certo punto mi disse in dialetto calabrese: “Professò, io ve le mando le persone perché siete coscienzioso e dite loro sempre una parola buona. E poi mi risolvete i problemi per l’80%”. E io le risposi “Mamma Natuzza ma l’80% è troppo alto!”.   “No - proseguì lei-  me lo ha detto l’angelo”. Con la mia mentalità da medico, appena rientrammo a Roma, andai a controllare e mi accorsi che le persone che prima non riuscivano ad avere bambini e poi grazie alle mie cure li avevano erano il 30%. Ho pensato che l’angelo avesse sbagliato. Ma così non era perché vedendo altre schede un altro 30% di donne subiva degli aborti spontanei ripetuti pur concependo- e lei mi mandava anche queste persone!-  e un altro 20% erano donne che, pur non avendo avuto bambini a seguito delle cure, li avevano adottati. Dalla somma delle percentuali mi accorsi che l’angelo aveva ragione! Dalla frase pronunciata da Natuzza ne ho ricavato due insegnamenti, come per Madre Teresa. Prima di tutto la sua umiltà: quel “mi risolvete” come se io medico risolvessi a lei i problemi , ma la cosa che più mi colpiva era quel “mi”: cioè lei faceva sue le sofferenze di quelle persone che non avevano figli o li perdevano. Ecco la sua grande carità e maternità : mamma Natuzza la chiamiamo perché era davvero mamma. Perché lo era nel più bel modo ovvero nell’Amore di Dio che  fa sue le sofferenze degli altri. E poi ha avuto una grande carità verso di me. Io e mia moglie le siamo molto legati, ci ha dato anche la data delle nozze, il 13 maggio. E ricordo ancora che quando mia moglie le portò il bouquet da sposa le disse: “Non a me! Alla Madonna vai a portarlo”. E così tanti altri ricordi belli legati a lei, fino alla sua morte avvenuta il primo novembre, giorno dei Santi.

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