Editoriali
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Il rispetto della dignità umana dei detenuti è la misura della nostra civiltà

Nella Giornata giubilare dedicata ai detenuti, Papa Francesco ha proposto un cambio di paradigma mettendo al centro della questione penale la dignità umana. Che va riconosciuta anche al peggiore dei criminali. Lo aveva già ricordato in altre occasioni: la pena non deve scivolare verso la vendetta, il diritto penale serve a contenere la violenza e non a esaltarla, chi commette un reato non è un nemico da eliminare.

Parole chiave: giustizia (3), carceri (3)
Il rispetto della dignità umana dei detenuti è la misura della nostra civiltà

Papa Francesco ci propone un cambio di paradigma mettendo al centro della questione penale la dignità umana. La dignità umana non pertiene alla sfera dei doveri. La dignità umana è parte fondativa del campo dei diritti umani. La dignità umana non si perde a seconda delle circostanze di vita o dei comportamenti tenuti. La dignità umana è dote indisponibile della persona. Dunque è compito delle istituzioni proteggere la dignità umana di tutti, nessuno escluso. Papa Francesco con parole chiare, forti, inequivocabili ha ricordato al mondo laico che mai la giustizia penale deve essere esercitata calpestando la dignità umana, mai le condizioni di detenzione debbono tradursi in un abuso del monopolio pubblico della violenza. Lo aveva già ricordato in altre occasioni: la pena non deve scivolare verso la vendetta, il diritto penale serve a contenere la violenza e non a esaltarla, chi commette un reato non è un nemico da eliminare.
Le tesi su carceri e giustizia di Papa Francesco, ribadite in occasione della giornata giubilare dedicata ai detenuti, non sono generiche parole di speranza. Costituiscono, per chi le volesse ascoltarle in profondità, altrettante parti di un vero e proprio progetto di governo della ‘sicurezza’. La sicurezza si costruisce rispettando e promuovendo la dignità umana anche del peggiore dei criminali. Quando papa Francesco invita i governi a garantire migliori condizioni di detenzione nelle proprie carceri non lo fa solo perché è un Papa buono o perché è giusto che sia così, ma anche perché sa che in questo caso il giusto coincide con l’utile. Un detenuto trattato male, umiliato, che subisce abusi durante la carcerazione si sentirà vittima dello Stato. In questo modo si sarà concluso un percorso pericoloso di vittimizzazione di colui che ha infranto la legge. Il detenuto trattato male, umiliato, vessato non rimetterà in discussione la propria storia di vita ma sposterà verso lo Stato le colpe della propria condizione. Quando le porte delle galere si chiudono alla legalità e alla umanità, coloro i quali in quelle galere ci sono finiti per avere violato la legge, si sentiranno legittimati a continuare a violare la legge, visto il maltrattamento subito dalle istituzioni. Un detenuto, viceversa, trattato nel rispetto profondo delle leggi interne e internazionali, ovvero con giustizia e umanità, avrà un esempio di legalità e rispetto della persona che potrà usare nella sua vita da libero. I tassi di recidiva, anche in Italia, sono molto alti anche perché la pena è spesso disumana.
Sono 10 milioni i detenuti nel mondo. 55mila nel nostro Paese. Papa Francesco si è rivolto a tutti gli Stati. Ha chiesto clemenza anche per rimediare a una giustizia selettiva, che discrimina sulla base del censo, del colore della pelle, dell’etnia di provenienza. Una giustizia inclemente per chi non ha risorse, per i poveri, per i tossicodipendenti, per gli immigrati, per chi ha problemi psichici. Vedremo se in giro per il mondo, e dunque anche in Italia, verrà raccolto il suo invito.

* presidente Antigone

Fonte: Sir
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