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Oblivion, forme dell'invisibile oltre la fotografia

Stefania Sammarro ci porta in viaggio nel suo mondo, tra il reale e l’onirico.

Oblivion, forme dell'invisibile oltre la fotografia
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In una fresca sera di mezza estate, dentro il suggestivo chiostro della chiesa di San Domenico in Montalto Uffugo, il pubblico si accinge a varcare le soglie di un viaggio tra il reale e l’irreale, tra la veglia e l’onirico, tra la vita e la morte, tra amore e odio. A condurre la kermesse, che si posiziona tra gli eventi del Festival internazionale “Ruggiero Leoncavallo” la fotografa e giornalista Stefania Sammarro, autrice della mostra fotografica “Oblivion”, accompagnata dai relatori: Roberto Sottile, critico d’arte e direttore del MABOS; Simonetta Costanzo, psicoanalista, criminologo e docente presso l’Università della Calabria; e Federico Orlando, presidente della fondazione “Amalia Villotta”. Ha moderato l’incontro l’attrice, regista e teatro terapeuta Imma Guarasci. Stefania, detta anche Ania, mostra al pubblico come, attraverso i suoi scatti, sia possibile esplorare un mondo fotogramma per fotogramma, come in un vero e proprio film. La fotografia di Ania come composizione di tanti frammenti che, uniti dallo spettatore, formeranno un singolare puzzle; e un monito inoltre, a cogliere l’arte non con occhi passivi, ma con animo attivo e partecipativo. Protagoniste dei suoi scatti le donne, colte in ogni loro sfaccettatura, con sguardi che potrebbero emanare qualsiasi forma di stato d’animo: “Queste opere comunicano una maggiore sensibilizzazione al rispetto della donna” – spiega il critico d’arte Roberto Sottile – “perché, oltre ad essere le protagoniste delle foto, sono donne che sembrano in un perenne stato d’attesa, magari di un azione o un gesto. Stefania pone così le sue donne al centro dell’obiettivo e le dona dignità, curiosi infatti gli abiti fatti indossare alle muse. Sono foto molto oniriche e che ci proiettano in una dimensione ‘altra’, anche se sono a noi conosciute, Stefania utilizza elementi di una nostra quotidianità che possiamo ben rintracciare nei singoli attimi del nostro vissuto quotidiano”.

Un’oscillazione tra il minimalismo e il surrealismo, a questo punto, ma gli scatti di Stefania vanno anche visti sotto un’altra chiave di lettura, quella legata al mondo della psicologia: “Noi psicoanalisti tendiamo a dire che colui che in qualche modo sublima le proprie tensioni interiori, ha in effetti raggiunto il così detto simbolo” – asserisce Simonetta Costanzo, psicoanalista e criminologo – “ovvero ha una capacità simbolica così predominante che consente la trasformazione, non intesa soltanto come prodotta attraverso l’arte, ma come questa sia un mezzo per far sì che la vera trasformazione, avvenuta nel cuore dell’artista, possa fuoriuscire”. Nel vedere questi scatti, a questo punto si può ben capire che c’è differenza tra scattare una foto e “essere” quella foto: “Vorrei che il fruitore si interrogasse su ciò che sta osservando.” – spiega Stefania Sammarro – “Se la fotografia riesce a far parlare qualcosa al nostro interno vuol dire che suscita sensazioni particolari e diverse. Ad esempio, nella donna di spalle io potrei vedere una donna che fugge, ma un altro potrebbe benissimo vedere una donna che va verso qualcuno, per cui ognuno produce una proiezione diversa. Tuttavia, il mio intento è che il messaggio dello stupore passi, in ogni caso”. La serata è stata ulteriormente adornata dalla performance di diverse “muse”: alcune protagoniste del flashmob con gli abiti dell’Accademia New Style di Cosenza, altre, invece, letteralmente usciranno dai quadri esposti. Tutto questo, allietato dalle note dell’arpa di Vanessa Valente.

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