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Arsenio da Trigolo, presto Beato!

Intervista a suor Daniela Tasca, vicaria generale delle Suore di Maria Santissima Consolatrice.

Arsenio da Trigolo, presto Beato!

A Roma, nella Casa per ferie delle Suore di Maria SS. Consolatrice, in Via degli Etruschi, 13, abbiamo incontrato Suor Daniela Tasca, Vicaria generale, per approfondire il pensiero del Fondatore che il 7 ottobre del 2017 sarà proclamato beato da Papa Francesco nel Duomo di Milano.

 

Ogni parola pronunciata dal Fondatore è un racconto. Ogni parola è un mistero. Ogni parola detta dal Fondatore delle Suore di Maria Consolatrice, Padre Cappuccino Arsenio da Trigolo, prossimamente proclamato beato, entra nel profondo del cuore e consola! Ma qual è la parola più forte, secondo Suor Daniela Tasca che cura l’Informativo, opuscolo divulgativo sulla figura di Padre Arsenio?

La “parola” più forte di Padre Arsenio probabilmente è proprio quella che Lui non ha pronunciato, vivendo ogni situazione di avversità, ostilità, sofferenza nel più assoluto ed umile SILENZIO. Questo è anche ciò che il Card. Martini aveva sottolineato, all’apertura del processo diocesano a Milano, mormorando come tra sé e sé che sarebbe bastato il silenzio “eroico” vissuto da Padre Arsenio per riconoscerne la santità. Un silenzio fatto di umiltà e di completo affidamento a Dio nella certezza che è Lui la nostra difesa, la nostra sola speranza: «Da Lui sperate tutto. In Dio non si spera mai invano, né troppo. L’impegno è arduo; da soli non potremo nulla, ma sì tutto in Dio» (Padre Arsenio).

Forse è questo il vero messaggio del prossimo Beato: solo chi è stato consolato può consolare. Abbiamo peccato e vogliamo morire al peccato. Per essere perdonati, dobbiamo perdonare. Non sarà facile, ma attraverso la grande Consolatrice, la Gran Madre di Dio, ciò è possibile. Questa è la conditio sine qua non per morire al peccato e partecipare alla bellezza e allo splendore di Dio.

A proposito del perdonare per essere perdonati è necessario precisare subito una cosa. Una delle “trappole” in cui facilmente cadiamo è ritenere che con il nostro impegno morale, la volontà e l’osservanza dei precetti, noi possiamo “recuperare” in qualche modo il male commesso e contribuire fattivamente alla nostra salvezza. E quindi, se ci impegniamo ci salviamo. Dietro a questa “buona volontà” c’è però l’insidia del peccato originale! L’uomo ha cominciato a ritenere di poter fare da solo, dando ragione alla tentazione che insinuava nella mente: “puoi farcela senza Dio” (cfr Genesi 3). La verità essenziale del cristianesimo, che Cristo stesso è venuto a mostrare con la sua vita, morte e risurrezione, è che siamo salvati per grazia(GRATIS), come ci ricorda san Paolo «Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati» (Ef 2,4-5). Ci ha salvati/perdonatida morti, non quando abbiamo dimostrato di avere buona volontà. Così come la mamma perdona il figlio non in proporzione del pentimento di questo, ma in misura (senza misura) del suo amore di madre! Allora dobbiamo stare attenti a non cadere nella trappola della mentalità commerciale e pensare che Dio ragiona in modo umano: “Se voi perdonate, allora anch’io vi perdono”. È vero, invece, il contrario: noi perdoniamo perché abbiamo fatto esperienza “sulla nostra pelle” di che cosa vuol dire essere salvati, essere tirati fuori dalle macerie… Allora il nostro perdono è un tramandare così il perdono ricevuto. Noi siamo chiamati a essere con gli altri come Dio è con noi: «La carità fraterna è una conseguenza immediata della carità divina verso di noi» (P. Arsenio). Dunque, ciò che tocca a noi perpartecipare alla bellezza di Dionon è un fare opere per meritarla, ma aprirci alla grazia,riconoscerla, accoglierla e aderire ad essa, vivendo ogni giorno nel suo sguardo e nella sua volontà.

Non ci si fa santi in un giorno - diceva il caro Fondatore, Padre Giuseppe Antonio Migliavacca, così si chiamava prima di assumere il nome di Padre Arsenio. Per quanto ho sentito dire da Suor Annalisa Falasco – che conosco da anni…e non solo da lei- ma anche perché  lo stesso Padre Arsenio non ci teneva a divenire un Santo degli Altari, come si legge nell’organo d’informazione… le chiedo: qual è la via per diventare testimoni della  Santità  di Dio?

Fa sorridere come anche in materia di santità rischiamo di cadere nella logica umana e finiamo per usare termini che non appartengono al vocabolario cristiano. “Diritto” è un concetto dell’uomo che, dal peccato originale in poi, crede di poter vantare diritti presso Dio. In effetti dobbiamo ammettere che tanta spiritualità ha fatto (e fa ancora) leva sul concetto di “merito”: fare qualcosa per meritarela salvezza. Ma Dio non ragiona secondo ildo ut des, io ti concedo se tu mi dai… La logica di Dio invece è quella del dono, totale, folle, oltre ogni logica umana, esagerato come quello di dare un Figlio per la nostra salvezza,senza aspettare che lo meritassimo…. In Dio tutto è grazia (gratis).Allora, dire che la santità degli altari sia in fondo “un diritto” (meritatoproprio grazie alla sua umiltà?) stona tanto quanto sentire uno che dice “Sono orgoglioso di essere umile”. La santità non è uno “status”. Il riconoscimento ufficiale che “eleva una persona agli onori degli altari” non serve al Santo perché gli sia riconosciuto un “diritto” in base ai meriti. Serve piuttosto a noi che vediamo confermato dalla Chiesa un modo di vita che ha reso quella persona più somigliante a Cristo. E perciò sappiamo diavere nel Santo un amicosu cui appoggiarci per il cammino. Tutti, infatti, siamo chiamati alla santità. Perciò tutti desideriamo “farci santi” se siamo consapevoli che la nostra felicità sta nell’ essere come Dio ci vuole, nel realizzare in pienezza ciò per cui esistiamo. E questo chiede un affidamento continuo e sempre più totale nelle mani di Dio, uno spogliamento di sé per fare spazio a Lui, un cammino lungo e paziente verso la pienezza di vita: la perfetta comunione con Dio.

Chiedere la santificazione attraverso le parole del Padre Nostro “ sia fatta la Tua volontà” e attraverso le opere di Misericordia quanto aiuta e contribuisce ad essere misericordiati?

Quando preghiamo “sia fatta la tua volontà”, se siamo onesti, dobbiamo ammettere che, davanti a questa domanda, proviamo un istintivo timore, pensando: “Cosa mai vorrà Dio da me?”. «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione » (1 Tes 4,3). Dio vuole la nostra salvezza. Ora, Cristo ce l’ha già procurata! Lui è venuto perché noi avessimo la vita, per insegnarci che non c’è peccato tanto grande che non trovi nel Padre l’abbraccio misericordioso, se solo decidiamo di tornare…. In Lui, siamo riconsegnati al Padre. Ancora una volta occorre ripeterci: non le nostre opere, non il nostro sforzo ci otterranno misericordia, ma la fedele e tenace appartenenza a Lui. Siamo chiamati a vivere la misericordia, ma non ad assolutizzare il nostro “fare” come fosse condizione per essere misericordiati. Del resto come potremmo pretendere di fare la volontà del Padre con la nostra volontà debole e ferita dal peccato, sempre e continuamente tentata di ripiegarsi su di sé...? C’è un solo cammino, che incomincia con il Battesimo: essere innestati nel Figlio, partecipi della sua figliolanza, da persone redente; vivere inseriti nell’umanità di Cristo che è già volontà di figlio obbediente al Padre, “capace” di fare la volontà del Padre. Farci portare da Lui. Per noi si tratta di accogliere e aderire a quell’Amore che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (cfr Rm 5,5) che ci rende figli nel figlio fino a farci esclamare “Abba Padre” (cfr Gal 4,6). Allora, se viviamo da figli di Dio, siamo coinvolti nella Sua misericordia, capaci di estendere ai fratelli l’amore ricevuto da Dio: Amatevi con lo stesso amore con il quale io ho amato voi” (cfr Gv 15,12).

Quali sono i verbi dell’Amore? Amare, adorare, pregare, perdonare e…?

Accogliere e donare. Accogliere l’amore di Dio per noi, senza il quale noi non sappiamo muovere un passo nell’amore perché siamo di natura deboli, egoisti, paurosi di perdere.  Donare se stessi, senza condizioni. Non c’è amore senza libertà: da se stessi, dal proprio tornaconto, dalla risposta che mi aspetto; è fare spazio all’altro perciò “fare vuoto” del proprio io; è andare oltre “la crosta”, ciò che appare esternamente, per vedere dentro la sua umanità lo stesso Spirito che abita in me.  Morire per vivere, perché solo la morte dell’individuo (colui mette sé al centro di tutto) permette la nascita della persona (essere-in-relazione).

La superbia è la morte di ogni virtù. Come reagire ad essa? Come difendersi da essa, se non con l’umiltà? Cosa diceva in proposito il Fondatore?

La superbia, specie quella spirituale, è una tentazione tanto grave quanto nascosta. Ci si sente migliori degli altri e quindi investiti da Dio del compito di correggerli e salvarli. Da un lato si cade nel giudizio, dall’altro ci si convince di poterli “ammaestrare”. Diceva San Serafino di Sarov: “ Insegnare è facile come scagliare pietre dall’alto del nostro campanile. Vivere quello che si insegna è invece difficile, come portare le pietre in cima al campanile. Questa è la differenza tra il discorso e la vita”. Solo ciò che passa per la “carne” della propria vita può avere qualche consistenza per la vita spirituale degli altri… Ed è la vita stessa che si incarica, giorno dopo giorno, di abbassare “i monti del nostro orgoglio”, di farci sperimentare attraverso tante piccole e grandi situazioni (umiliazioni) la realtà della nostra umana debolezza, il bisogno del perdono, la potenza e gratuità della grazia divina, senza la quale siamo un nulla. Anche Padre Arsenio aveva chiara questa verità, non come un bell’ideale ma come realtà concreta. Per questo si ammoniva da solo:« Comprendi un poco, o Arsenio, il gran mistero che sei: chiedi al Signore la Santa umiltà, e poi non vorresti le umiliazioni: che stramberia, che irragionevolezza è questa tua! Vorresti il fine e non i mezzi. I mezzi per acquistare l’umiltà sono le umiliazioni ed è mediante la ripetizione di queste che ci forma poi l’abito, la virtù dell’umiltà…».

Forse interpretando il pensiero del Vostro Fondatore, la scrupolosa maestra Annalisa ritiene che nell’altro mondo gioiremo, partecipando agli splendori divini, o soffriremo, a seconda di ciò che abbiamo sperimentato nel profondo dell’animo sul suolo terrestre. La sorella allude ad una condizione del tutto spirituale, non fa riferimento ad uno stato fisico… Cosa ci dice, Suor Daniela? E cosa ne pensava il Fondatore ?

Premetto che il pensiero del Fondatore su questi temi seguiva la teologia del suo tempo, che insisteva molto sul concetto di premio e castigo eterni, corrispondenti al tipo di vita vissuta sulla terra. Nell’approfondimento del pensiero di Dio, non possiamo però fermarci all’immagine di Lui come Giudice e “Contabile”... Dio non è un Ragioniere che renderà a ciascuno secondo le opere compiute… Eppure è certo che ciò che sarà di noi nell’ “altro mondo” comincia qui.Infatti, passerà alla vita eterna tutto ciò che qui abbiamo vissuto nell’amore. Ritroveremo di là ogni gesto d’amore, ogni realtà a noi cara ma non trattenuta come un possesso, bensì amata e riconosciuta come un dono, e per questo anche condivisa, ridonata, offerta, consegnata a Lui… E poiché l’amore è la perfetta unione con l’amato, il Paradiso è compimento di ciò per cui siamo stati creati e redenti, e cioè la piena comunione con Dio: vivere in Lui, unificati, senza più nessuna esperienza di separazione interiore ed esteriore. Ecco il Paradiso secondo Padre Arsenio:«…Lui diverrà una sola cosa con noi. [La nostra vita] sfocerà nell’eterna beatitudine con Lui, con il quale saremo sempre uniti in Paradiso ». Ovvero,perfetta felicità, vedere Dio, infinita bellezza, salute senza infermità, gioia che non finirà mai....culmine di una vita vissuta nel desiderio di Dio e nella comunione con i fratelli.All’opposto, tutto ciò che avremo tenuto per noi, negandoci all’amore, al dono e al perdono, chiudendoci alla relazione, rifiutando di morire a noi stessi…preferendo la nostra vita-morta alla Sua vita-viva, senza mai lasciare uno spiraglio, senza mai dire un piccolo sì, sufficiente perché la Sua grazia dilaghi in noi… tutto questo potrebbe costruire ilnostro muro contro l’azione di Dio, la nostra lontananza dal Dio-Amore, la Sua assenza,il nostro proprio inferno. E Dio ci rispetta nella nostra libertà. Egli non sfonda il muro, solo bussa alla porta (Ap 3,20). Di noi, nell’altro mondo, saràla gioia dell’amore o lasofferenza dell’amore, perché“l’amore nella sua potenza produce un duplice effetto: rallegra quanti hanno amato ma tormenta quanti lo hanno rifiutato. E percepire di aver peccato contro l’amore, è un tormento più forte di qualunque altra specie di tormenti….”(Cfr Isacco il Siro).

Che ne sarà del nostro corpo?

Credo nella resurrezione della carne, recitiamo nel Credo apostolico. Niente di ciò che è umano attraversato da Cristo va perduto. Ma il corpo che conosciamo umanamente e materialmente dopo aver reso prezioso servizio “si screpola come crisalide…” (O. Clément), come il bozzolo dell’uomo terreno che deve avvizzire e morire per generare l’uomo spirituale o come il guscio del seme che lascia spazio al nuovo germoglio, il guscio torna alla terra, il germoglio cresce nella vita nuova. Ma ciò che saremo di là è cominciato qui, in questo corpo, da amare e rispettare come dono vivificato dallo Spirito e non schiavo della terra.

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