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"Andare all'essenziale, rinnovarsi, coinvolgersi"

I tre imperativi al centro dell’omelia pronunciata dal Papa nella Messa all’aeroporto di Medellín. "La Chiesa non è una dogana dalle porte chiuse".

Parole chiave: papa in colombia (1), medellin (1)
foto Aci Stampa

“Andare all’essenziale, rinnovarsi, coinvolgersi”: sono i tre imperativi al centro dell’omelia pronunciata dal Papa nella Messa all’aeroporto di Medellín, che oggi ha smentito la sua fama di essere “città dell’eterna primavera”, visto che piove incessantemente da questa mattina. Il maltempo, però, non ha scoraggiato i fedeli, che hanno continuano ad affluire nell’area – che può arrivare a contenere un milione di persone – fino a poco prima della celebrazione, cominciata con circa tre quarti d’ora di ritardo. E proprio per scusarsi dell’attesa prolungata, all’inizio della celebrazione Francesco ha salutato i fedeli a braccio: “Mi spiace per questa pioggia, che ha causato un ritardo tanto significativo. Grazie per il vostro coraggio, la vostra pazienza e la vostra perseveranza!”. Durante l’omelia, incentrata sulla chiamata dei Dodici, il Papa ha fatto notare che il Signore indica loro che seguirlo chiede “molto più che una ricetta”: è “camminare dietro a lui, e che quel camminare li poneva davanti a lebbrosi, paralitici, peccatori”. Gli apostoli, così, “impararono che andare dietro a Gesù comporta altre priorità, altre considerazioni per servire Dio”: “Per il Signore, anche per la prima comunità, è di somma importanza che quanti ci diciamo discepoli non ci attacchiamo a un certo stile, a certe pratiche che ci avvicinano più al modo di essere di alcuni farisei di allora che a quello di Gesù”, ha spiegato Francesco. Tutto questo perché “la libertà di Gesù si contrappone alla mancanza di libertà dei dottori della legge di quell’epoca, che erano paralizzati da un’interpretazione e da una pratica rigoristica della legge. Gesù non si ferma ad un’attuazione apparentemente ‘corretta’: porta la legge al suo compimento e perciò vuole porci in quella direzione, in quello stile di sequela che suppone andare all’essenziale, rinnovarsi e coinvolgersi”.

“Andare all’essenziale” non vuol dire “rompere con tutto ciò che non si adatta a noi, perché nemmeno Gesù è venuto ad abolire la legge, ma a portarla al suo compimento; è piuttosto andare in profondità, a ciò che conta e ha valore per la vita”. Il Papa ha ricordato come Gesù “insegna che la relazione con Dio non può essere un freddo attaccamento a norme e leggi, né tantomeno un compiere certi atti esteriori che non portano a un cambiamento reale di vita”. “Nemmeno il nostro discepolato può essere motivato semplicemente da una consuetudine, perché abbiamo un certificato di battesimo, ma deve partire da un’esperienza viva di Dio e del suo amore”, ha ammonito Francesco, secondo il quale “il discepolato non è qualcosa di statico, ma un continuo movimento verso Cristo; non è semplicemente attaccarsi alla spiegazione di una dottrina, ma l’esperienza della presenza amichevole, viva e operante del Signore, un apprendistato permanente per mezzo dell’ascolto della sua Parola”, per rispondere ai “bisogni concreti dei nostri fratelli”, come la fame o la malattia.

“Come Gesù scuoteva i dottori della legge perché uscissero dalla loro rigidità, ora anche la Chiesa è ‘scossa’ dallo Spirito perché lasci le sue comodità e i suoi attaccamenti”. Declinando il secondo imperativo della sua omelia a Medellin – “rinnovarsi” – Francesco ha ribadito ancora una volta: “Il rinnovamento non deve farci paura. La Chiesa è sempre in rinnovamento – Ecclesia semper reformanda –. Non si rinnova a suo capriccio, ma lo fa fondata e ferma nella fede, irremovibile nella speranza del Vangelo che ha ascoltato”. “Il rinnovamento richiede sacrificio e coraggio, non per sentirsi migliori o impeccabili, ma per rispondere meglio alla chiamata del Signore”, ha spiegato Francesco: “Il Signore del sabato, la ragion d’essere di tutti i nostri comandamenti e precetti, ci invita a ponderare le norme quando è in gioco il seguire Lui; quando le sue piaghe aperte, il suo grido di fame e sete di giustizia ci interpellano e ci impongono risposte nuove. E in Colombia ci sono tante situazioni che chiedono ai discepoli lo stile di vita di Gesù, particolarmente l’amore tradotto in atti di nonviolenza, di riconciliazione e di pace”.

“Coinvolgersi, per qualcuno può sembrare sporcarsi, macchiarsi”: invece significa “crescere in audacia, in un coraggio evangelico che scaturisce dal sapere che sono molti quelli che hanno fame, fame di Dio, fame di dignità, perché sono stati spogliati. E, come cristiani, aiutarli a saziarsi di Dio; non ostacolare o proibire loro questo incontro”. È la sintesi del terzo imperativo dell’omelia pronunciata a Medellín, in cui il Papa ha ammonito: “Non possiamo essere cristiani che alzano continuamente il cartello ‘proibito il passaggio’, né considerare che questo spazio è mia proprietà, impossessandomi di qualcosa che non è assolutamente mio. La Chiesa non è nostra, è di Dio; per tutti c’è posto, tutti sono invitati a trovare qui e tra noi il loro nutrimento. Noi siamo semplici servitori e non possiamo essere quelli che ostacolano tale incontro”. “Lo ha capito bene Pietro Claver”, l’omaggio di Francesco al gesuita in onore del quale celebra la Messa di oggi e che domani venererà a Cartagena: “Schiavo dei neri per sempre fu il motto della sua vita, perché comprese, come discepolo di Gesù, che non poteva rimanere indifferente davanti alla sofferenza dei più abbandonati e oltraggiati del suo tempo e che doveva fare qualcosa per alleviarla”. “La Chiesa in Colombia è chiamata a impegnarsi con maggiore audacia nella formazione di discepoli missionari”, l’appello del Papa sulla scorta di Aparecida. “Discepoli che sappiano veder, giudicare e agire, come proponeva il documento latinoamericano nato in queste terre”, ha proseguito citando il documento di Medellin del 1968: “Discepoli missionari che sanno vedere, senza miopie ereditarie; che esaminano la realtà secondo gli occhi e il cuore di Gesù, e da lì la giudicano. E che rischiano, agiscono, si impegnano”.

“La Chiesa non è una dogana, vuole le porte aperte perché il cuore del suo Dio non è solo aperto, ma trafitto dall’amore che si è fatto dolore”. Nella parte finale dell’omelia della Messa a MedellínFrancesco ha ricordato che Gesù “manda a chiamare tutti, sani e malati, buoni e cattivi, tutti!”. “Questo è il nostro servizio”, ha aggiunto sempre fuori testo: “Mangiare il pane di Dio, mangiare l’amore di Dio, mangiare il pane che ci aiuta a sopravvivere”. “Sono venuto fin qui proprio per confermarvi nella fede e nella speranza del Vangelo”, il congedo finale: “Rimanete saldi e liberi in Cristo, così da rifletterlo in tutto quello che fate; abbracciate con tutte le vostre forze la sequela di Gesù, conoscetelo, lasciatevi chiamare e istruire da lui, annunciatelo con la maggiore gioia possibile. Siamo semplicemente missionari che portiamo a tutti la luce e la gioia del Vangelo a tutte le genti”.

Fonte: Sir
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