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Vediamo cosa potrebbe cambiare nel rapporto tra Stato e Regioni

Dopo il superamento del “bicameralismo paritario” (primo punto della legge), la “riduzione del numero dei parlamentari”, il “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” e la “soppressione del Cnel” (secondo, terzo e quarto punto), il nostro approfondimento sui temi del referendum costituzionale prosegue affrontando l’ultima questione del titolo della legge: la “revisione del titolo V della parte II della Costituzione” (ovvero l’ambito delle autonomie locali, in particolare delle Regioni).

Vediamo cosa potrebbe cambiare nel rapporto tra Stato e Regioni

L’ultimo punto del titolo della legge costituzionale su cui i cittadini si esprimeranno il 4 dicembre è “revisione del titolo V della parte II della Costituzione”. Si tratta della parte della Carta che riguarda l’ambito delle autonomie locali, in particolare delle Regioni, e che era già stata modificata quindici anni fa, così che in questo caso il raffronto non è con il testo originario del 1948, ma con quello riformato dalla legge costituzionale n.3 del 2001. Che sia una materia estremamente complessa e delicata dal punto di vista politico-istituzionale è dimostrato anche dal fatto che le Regioni a statuto ordinario furono istituite soltanto nel 1970, cioè ben ventidue anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione. La novità più evidente della riforma sottoposta a referendum è la modifica del riparto delle competenze tra Stato e Regioni, con l’eliminazione della cosiddetta “legislazione concorrente”. Insomma, non ci saranno più materie in condominio, ma soltanto materie di competenza statale e materie di competenza regionale. Tra le prime sono aggiunte materie nuove rispetto al testo in vigore. Rientrano nella competenza esclusiva dello Stato, per esempio, le grandi reti di trasporto e dell’energia e le norme generali in tema di salute e politiche sociali, ma anche la tutela del risparmio e la promozione della concorrenza, la sicurezza sul lavoro e la formazione professionale, così come l’ordinamento delle professioni e la tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

L’elenco completo è nell’art. 31 della legge di riforma che modifica l’art.117 della Costituzione, troppo lungo per essere riportato qui ma che merita di essere letto integralmente per farsi un’idea precisa. Nel medesimo articolo sono indicate anche alcune competenze specifiche delle Regioni, fermo restando il principio che spettano ad esse tutte quelle non espressamente attribuite alla competenza statale. La riforma introduce inoltre la cosiddetta “clausola di supremazia” che consente alla legge dello Stato, su proposta del governo, di intervenire in materie non riservate alla competenza esclusiva statale, quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale. Per quanto riguarda l’autonomia finanziaria delle istituzioni locali (Comuni, Città metropolitane e Regioni, essendo prevista l’eliminazione delle Province dal testo costituzionale), la riforma stabilisce che sia esercitata, oltre che in armonia con la Costituzione, anche secondo quanto disposto con legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Una legge statale definirà anche “indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno” per le funzioni pubbliche svolte dalle istituzioni locali, con l’obiettivo di promuovere “condizioni di efficienza”. Un altro capitolo è quello del cosiddetto “regionalismo differenziato”, in pratica la possibilità di attribuire particolari forme di autonomia rafforzata alle Regioni a statuto ordinario, con una legge approvata da entrambe le Camere (quindi anche dal Senato formato dai rappresentanti regionali). Rispetto a quanto già previsto vengono ridefinite e allargate le materie in cui si applica questa norma (anche in conseguenza del più generale ridisegno delle competenze statati e regionali) ed è introdotta una nuova condizione, che cioè la Regione interessata sia in una situazione di “equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”. Per quanto riguarda le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, una disposizione transitoria stabilisce che la riforma del titolo V della Costituzione non si applichi ad esse “fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome”. Revisione che dev’essere fatta a sua volta con legge costituzionale, dato che questo è il rilievo che quegli statuti hanno nel nostro ordinamento. Per chi volesse andare alle fonti, ricordiamo che il testo integrale della riforma si trova qui:
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/04/15/16A03075/sg Ricordiamo altresì lo schema realizzato dal servizio studi della Camera, con gli articoli della Costituzione vigente e, a fronte, gli articoli modificati sulla base della legge sottoposta al referendum:
http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/ac0500n.pdf

Comitato per il Sì

La riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione ha lo scopo di rendere più chiaro il riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Si definisce meglio chi fa cosa. Lo Stato avrà le sue competenze legislative esclusive e le Regioni avranno le proprie: saranno eliminate le cosiddette “competenze concorrenti”, che troppo spesso hanno causato conflitti tra i livelli di governo, duplicazioni e inefficienze. Un tema cruciale è la sanità: lo Stato si riappropria del diritto alla salute, lasciando alle Regioni la sola organizzazione sanitaria. Sarà così possibile superare le troppe differenze di servizio sanitario tra le Regioni: non è accettabile che in alcune zone d’Italia i cittadini ricevano prestazioni sanitarie peggiori che in altre regioni, che debbano pagare di più o che siano costretti a spostarsi altrove per le malattie più gravi. La riforma del Titolo V rappresenterà anche una svolta meritocratica: le Regioni virtuose, con conti in ordine, potranno avere maggiore autonomia, in materie come governo del territorio o politiche attive del lavoro.

Comitato per il no

Con la riforma si cancella la potestà legislativa “concorrente”: lo Stato sarà competente in via esclusiva su molte materie; le Regioni su altre. Si introduce la c.d “clausola di supremazia”: il Governo, se lo richieda l’interesse nazionale o la tutela dell’unità economica o giuridica, potrà chiedere al Parlamento di intervenire con legge nelle materie di competenza regionale. Si pongono diversi problemi. Intanto è fisiologico che l’introduzione di nuove materie trascini con sé l’esigenza di una loro nuova definizione. In secondo luogo, il confine tra ciò che spetti allo Stato e alle Regioni è spesso confuso; si pensi alla tutela della salute: lo Stato sarà competente solo sulle “disposizioni generali e comuni” della materia, mentre sul resto ci penseranno le Regioni. In terzo luogo, le competenze risultano talvolta sovrapposte: ad es. il governo del territorio (di competenza dello Stato) e la pianificazione del territorio regionale (di competenza delle Regioni). In quarto luogo, contro la “clausola di supremazia” le Regioni non potranno opporre alcunché: le condizioni del ricorso ad essa sono di natura politica e non giuridica e le valuterà discrezionalmente il Governo.

Fonte: Sir
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