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Resto al Sud di Invitalia: speranza o chimera per i nostri giovani?

Inviate ad Invitalia oltre 5000 domande per accedere ai fondi destinati a incentivare l'autoimprenditorialità al Meridione

In foto, Francesco Bruno

Il prossimo 15 febbraio Invitalia fa sapere che saranno approvati i primi progetti completi degli 875 inviati dagli under 35 del Sud. Delle oltre 5000 domande presentate o in via di compilazione, il 13,2% è stato presentato da calabresi. “Resto al Sud”, l'incentivo del governo rivolto ai giovani, sembra riscuotere un buon successo. Quello che i tecnici Invitalia dovranno valutare sarà la reale fattibilità dell’iniziativa imprenditoriale da un punto di vista commerciale, economico e finanziario. Chi invia il proprio piano d’impresa, in altre parole, dovrà darsi una risposta alle domande: la mia idea è valida? Mi conviene dar vita all'impresa? Ci siamo chiesti, dunque, se fornire “semplicemente” capitale ai giovani non sia una sorta di Giano bifronte: speranza o chimera? Abbiamo chiesto a Francesco Bruno, originario di Fiumefreddo Bruzio, avvocato specializzato in Diritto commerciale, Contrattualistica nazionale e internazionale, nonché firma di “Econopoly” de “Il Sole 24 ore”, di darci qualche nota d’orientamento.

È sufficiente incoraggiare idee imprenditoriali fornendo capitale?

È sicuramente importante il contributo economico, sia nella componente a fondo perduto sia come finanziamento a tasso zero. Le regioni del Sud scontano infatti un costo del credito maggiore rispetto al resto d’Italia, quindi fanno più fatica a reperire il capitale per poter finanziare le loro attività imprenditoriali. Inoltre, oltre a eventuali risparmi familiari accumulati nel tempo, solo il canale bancario offre forme di finanziamento, mentre sono pressoché assenti gli altri canali tipici di un’economia di mercato (fondi, venture capital etc.). Ma il capitale non è tutto ciò che serve ad aspiranti giovani imprenditori.

Non bisognerebbe, forse, investire in percorsi formativi che incentivino anche la cultura e i valori d’impresa?

L’una strada non esclude l’altra, servono ambedue le cose. A livello formativo il nostro sistema sconta diverse lacune. Si è soliti pensare che basti l’istinto e un po’ di esperienza per diventare imprenditori, ma non è più così. Serve una preparazione e una formazione continua per riuscire a competere in un mercato in continua evoluzione, dove spesso il tuo concorrente si trova a migliaia di chilometri di distanza. In realtà lo Stato (su input della Commissione europea) ha provato e sta provando a colmare questo gap con il programma Garanzia Giovani, ma sono pochissimi i giovani che hanno scelto la misura del “Sostegno all'autoimpiego e all'autoimprenditorialità (formazione)”. Ciò denota una scarsa efficacia dei centri pubblici per l’impiego e una bassa convinzione da parte dei giovani sulla necessità di formarsi prima di intraprendere un’iniziativa imprenditoriale. Oltre a migliorare le politiche attive, occorre riflettere altresì sui programmi scolastici, che spesso tralasciano l’insegnamento dei valori d’impresa e della cultura aziendale. Una politica poco lungimirante.   

Quali le barriere che i giovani italiani, e in particolare al Sud, incontrano?

Sul lato fiscale, lo Stato ha investito molto per cercare di agevolare le nuove imprese, soprattutto se avviate da giovani. Ma se avviare un’azienda non appare impossibile, farla crescere e durare nel tempo è molto più arduo. I giovani italiani mostrano una scarsa fiducia sulle proprie qualità imprenditoriali ed un’accentuata paura di fallire. La prima paura si supera con la formazione e con un ecosistema socio-culturale che spinga i giovani a credere maggiormente in sé stessi. La seconda paura dipende molto dall'accezione negativa legata al fallimento, nonostante i più grandi casi di successi imprenditoriali degli ultimi decenni siano spesso partiti da fallimenti. Anche su quest’ultimo aspetto il ruolo della scuola appare decisivo. Inoltre, altre barriere tipiche del Sud riguardano la presenza della criminalità organizzata, la bassa efficienza della pubblica amministrazione, la lentezza della giustizia, le insufficienti infrastrutture materiali e immateriali. Si tratta di barriere che rendono più difficile il “fare impresa” rispetto ad altre aree del paese.

Questo dato quanto incide nello scoraggiare i giovani ad investire capitale umano e economico nelle proprie regioni?

Incide più di quanto le statistiche ufficiali riescano a cogliere. Le mafie scoraggiano le iniziative imprenditoriali “sane”, perché falsano la libera concorrenza e pregiudicano il merito. Chi nasce e cresce in determinati contesti è consapevole dei limiti che incontrerà nel caso in cui dovesse decidere di intraprendere un’attività imprenditoriale. Alcuni non se la sentono e preferiscono emigrare o puntare su lavori subordinati, notoriamente più sicuri. Altri ci provano, ma abbandonano dopo aver “testato” l’ambiente. Si tratta di piaghe del territorio che raramente vengono prese in considerazione quando si disegnano policy come “Resto al Sud”, ma che hanno un impatto decisivo sui risultati di tali misure.

Per ulteriori informazioni e per consultare il bando: http://www.invitalia.it/site/new/home/cosa-facciamo/creiamo-nuove-aziende/resto-al-sud.html

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