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Il filo che tiene unite Gaza e Aleppo è la Croce

Da Gaza ad Aleppo: la testimonianza di suor Nazareth, missionaria dell'Istituto del Verbo incarnato, che ha vissuto le due ultime guerre nella Striscia e l'assedio di Aleppo. L'incontro con le comunità cristiane locali che hanno abbracciato la Croce di Cristo e la portano tra tante difficoltà e sofferenze."La Croce - afferma - è il filo che tiene unite Gaza e Aleppo e le loro comunità cristiane. Esse ci insegnano che anche dalle macerie si può rinascere... Dio ha una predilezione per i cristiani di Gaza e di Aleppo". Un messaggio forte e attuale che, in qualche modo, tocca anche l'Italia e le sue terre devastate dal sisma e dal maltempo.

Il filo che tiene unite Gaza e Aleppo è la Croce

Nel suo curriculum tre guerre: le ultime due di Gaza, quella del 2012 “Colonna di nuvola” e del 2014 “Margine protettivo”, e poi l’assedio di Aleppo, in Siria, vissuto dal giugno del 2014 fino al maggio del 2016. Non si sta parlando di un veterano di guerra, né tantomeno di un pluridecorato in battaglia, ma di suor Nazareth, religiosa argentina dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive), di cui oggi è provinciale per l’area mediorientale. Una missionaria. La incontriamo nel compound della parrocchia latina “Sacra Famiglia” nella Striscia di Gaza, dove è in visita per incontrare le sue religiose che in questo lembo di terra, abitato da 2 milioni di persone, assistono il parroco, anch’egli missionario dell’Ive, padre Mario Da Silva, nella pastorale ordinaria rivolta a soli 135 fedeli cattolici su poco più di un migliaio di cristiani, tutti greco-ortodossi. La parrocchia in questi giorni è un cantiere aperto.

Gaza, parrocchia Sacra Famiglia. Operai al lavoro

Alcuni operai stanno lavorando al rifacimento del pavimento della piccola chiesa ma il rumore assordante dei martelli sui mattoni non sembra disturbarla più di tanto mentre racconta la sua esperienza nelle due città in guerra, Aleppo e Gaza. Anzi, si mostra felice perché, dice, “quando si ricostruisce, significa che c’è speranza nel futuro. Di rovine in questi ultimi cinque anni ne ho viste tante, ma ho visto anche tanta voglia di rinascere da parte delle persone e delle comunità che ho incontrato”. Come i cristiani di Aleppo. “In Siria – racconta – ho vissuto un’esperienza forte e molto edificante per la testimonianza dei cristiani locali. Con le mie consorelle abitavamo vicino all’episcopio del vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen. La nostra missione era quella di fare visita e aiutare materialmente le famiglie più vulnerabili, non solo cristiane, che abitavano nei quartieri colpiti dalla guerra, che in città era cominciata nell’estate di due anni prima. Con la comunità cristiana abbiamo condiviso tutto, dai bisogni materiali a quelli spirituali. Fino alle bombe e ai razzi che cadevano vicinissimi alla nostra casa provocando molti danni. In questi momenti abbiamo visto la solidità della fede dei cristiani. Decidere di restare in una città senza acqua, elettricità, medicine e sicurezza, ha un qualcosa di eroico”.

Chiesa di San Francesco, Aleppo

Fede e solidarietà vissute sul campo da suor Nazareth che racconta di “persone anch’esse bisognose che donavano quel poco che potevano per il bene dell’altro. Tante famiglie nella città siriana vivono nel bisogno perché i loro padri e mariti sono morti nella guerra”. Tutto questo fa di Aleppo, oggi, una città “distrutta ma non vinta” dal conflitto che non è ancora finito, a dispetto delle tregue e dei colloqui promossi dalle Superpotenze di turno. “Tra le rovine – afferma convinta suor Nazareth – resta una grande speranza e un desiderio di lavorare per ricostruire non solo le case ma anche i cuori della popolazione. La guerra ha marcato a fuoco la vita dei siriani e degli aleppini, la sofferenza è indicibile e le perdite subite irrecuperabili. Ma la speranza vive ancora”. Grazie anche alla presenza della Chiesa – e di tanti suoi sacerdoti, religiosi e religiose – che resta vicino alle comunità cristiane, e non, locali. “Essere con loro apre un grande orizzonte per ricostruire – dice suor Nazareth mentre stringe tra le mani una piccola coroncina – il collante che tiene insieme la ricostruzione è la riconciliazione. La guerra ha spezzato la vita di tante persone, ha separato famiglie, le ha divise, chi combatteva da una parte e chi dall’altra. Aiutare il dialogo e la riconciliazione tra il popolo siriano oggi è più urgente che rimettere in piedi le case. La Siria era un Paese di pacifica convivenza tra cristiani e musulmani e le altre minoranze. Un esempio per tanti altri Paesi della zona – ricorda la religiosa – ora abbiamo una nuova occasione per rimettere al loro posto i valori umani universali che sono quelli del Vangelo, la fraternità, la solidarietà, il rispetto, la mutua conoscenza, la libertà”. Anche così si rifanno nuove le macerie di Aleppo e della Siria, così come quelle di Gaza, dove non si fa mai in tempo a ricostruire a causa della sequenza di guerre. A Gaza suor Nazareth è tornata volentieri. La parrocchia latina della “Sacra Famiglia” è ancora la sua casa e i fedeli che la frequentano fanno a gara per salutarla e parlare con lei. Qualcuno le chiede un aiuto che non può dare: “Uscire dalla Striscia”.

Fedeli nella parrocchia cattolica della “Sacra Famiglia” di Gaza

“Dio ha una predilezione per i cristiani di Gaza e di Aleppo perché li fa partecipare in modo speciale alla sua sofferenza. Siamo privilegiati ad accompagnare persone che portano la Croce di Gesù”. La Croce è il filo che tiene unite Gaza e Aleppo. “Con la Croce viene anche la benedizione come hanno testimoniato in questi anni di guerra. In loro – rivela la missionaria – continuo a vedere una speranza di pace. Chiedono sicurezza, dignità, vogliono riconciliazione. Quando li senti parlare non c’è discorso che non termini con un ‘Grazie a Dio’, che ha salvato loro la vita. I cristiani di Gaza e di Aleppo ci insegnano che anche dalle macerie si può rinascere”.

Fonte: Sir
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